Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

Azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore di s.r.l. ed esclusione del socio (di Federico Riganti)


Il commento intende offrire un inquadramento di alcuni profili di fondamentale importanza della società a responsabilità limitata, quali risultano essere, ad esempio, la compromettibilità in arbitri dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore e il tema dell’esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473-bis c.c.

Liability action against the director of a l.t.d., and request of exclusion of a quota holder

The article intends to provide a framework over certain aspects of fundamental importance for the limited liability company, such as, for instance, the possibility to arbitrate over a liability action against directors of a limited liability company, and the theme of the request of exclusion of a quota holder in accordance with article 2473-bis of the Italian civil code.

Lodo arbitrale Catania, 20 luglio 2015 (Mirone presidente; Pappalardo, Trommino arbitri) – Tizia (avv. Maggiulli) – Caia (avv. Randazzo) (Art. 2476 c.c.; art. 34, comma 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5) La clausola compromissoria che prevede la possibilità di deferire in arbitri le controversie tra i soci, quelle tra la società e i soci, nonché quelle promosse dagli amministratori e dai sindaci, in dipendenza di affari sociali o dell’interpretazione o esecuzione dello Statuto sociale, non include automaticamente anche l’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c., promossa dal socio nei confronti dell’amministratore, non rilevando che quest’ultimo sia anche socio della società. (1) (Art. 2473-bis c.c.; art. 78, comma 2, c.p.c.) La domanda di esclusione che proviene dal socio in quanto tale (e non in nome e per conto della società) nei confronti dell’altro socio non conferisce la qualità di litisconsorte necessario alla società, di fatto non sussistendo alcun conflitto di interessi a carico del socio attore e del socio convenuto, che rappresentano i propri interessi e non già quelli della società partecipata. Conseguentemente non risultando necessaria la nomina del curatore speciale ex art. 78, comma 2, c.p.c. (2) (Art. 2473-bis c.p.c.) Il requisito della specificità, previsto dall’art. 2473-bis c.c. in tema di esclusione del socio di s.r.l., deve essere inteso in senso pregnante, essendo volto a rendere facilmente apprezzabili ex ante al socio le condotte che potrebbero determinare un rimedio così grave quale è quello della cessazione del rapporto sociale. (3)     [Omissis] 2. Sulla incompetenza del Collegio in ordine alla domanda di revoca ed all’a­zione di responsabilità dell’amministratrice 2.1. Con specifico riferimento alla domanda di revoca della convenuta dalla carica di coamministratore della Alfa S.r.l. per l’inadempimento ai relativi obblighi e di condanna al risarcimento dei danni per € 340.000,00 (oltre i costi mensili per lo stipendio di Sempronio dal momento del mancato licenziamento sino alla eventuale cessazione del rapporto), il Collegio ritiene doversi accogliere l’ecce­zione di incompetenza sollevata da parte convenuta, non potendosi considerare la domanda compresa nel novero delle “divergenze tra i soci o tra i soci e la società” considerate nella clausola arbitrale di cui all’art. 27 dello statuto. Ed infatti, l’art. 34, co. 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, così prevede: “Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa e (breve) inquadramento dei fatti di “causa” - 2. Il “problema” del contraddittorio - 3. Il “profilo gestorio”: la non automatica compromettibilità in arbitri dell’azione di responsabilità (e della conseguente domanda di revoca) dell’amministratore di s.r.l. Il rapporto derogatorio tra l’art. 34, comma 4, del d.lgs. n. 5/2003 e l’art. 808-quater c.p.c. - 4. Il profilo relativo al rapporto sociale: il tema dell’esclusione - 4.1. Segue: l’asserita nullità della clausola statutaria di esclusione per mancato rispetto del requisito di specificità di cui all’art. 2473-bis c.c. - 4.2. In particolare, il “filtro” della specificità di cui all’art. 2473-bis c.c. - 5. Conclusioni - NOTE


1. Premessa e (breve) inquadramento dei fatti di “causa”

Pur non rientrando a pieno titolo tra quelle pronunce capaci di offrire un inquadramento dei fatti ricco di particolari, il lodo che si commenta consente di affrontare una molteplicità di questioni che – vuoi per ragioni “di sistema”, vuoi per motivazioni eminentemente pratiche – senza dubbio alcuno devono assumere rilevanza centrale nelle riflessioni di studiosi e operatori, intenti a con­frontarsi con un tipo societario, quello della s.r.l., sempre più oggetto di un’e­voluzione incessante e talvolta disarmonica. A fronte di una scarna contestualizzazione della vicenda – che verte intorno ad una “classica” ipotesi di lite endosocietaria [1]incentrata sul comportamento negligente di uno dei due soci e amministratori, con conseguente domanda di esclusione e revoca – emergono infatti, dalle righe del decisum, alcuni temi che, per natura e portata, affrontano due dei punti nevralgici della “nuova” società a responsabilità limitata, consistenti (i) nei poteri di reazione dei soci nei confronti dell’amministratore, nonché (ii) nel meccanismo di esclusione del socio “inadempiente”. È tenendo a mente una tale bipartizione che il commento che segue si prefigge di offrire, una breve analisi della statuizione degli arbitri, che verrà esami­nata una volta offerto un altrettanto sintetico inquadramento preliminare delle questioni di natura procedurale emerse nel corso dell’arbitrato irrituale [2].


2. Il “problema” del contraddittorio

Pare opportuno soffermarsi in apertura sul primo dei motivi della decisione arbitrale, relativo al rispetto del contraddittorio nell’assegnazione dei termini per lo svolgimento del giudizio. E ciò, non tanto con l’intento di offrire un inquadramento critico dell’impo­stazione adottata dal Collegio – infatti capace di rispettare, e così tradurre, la ratio sottesa al principio di cui si tratta [3] – quanto piuttosto per richiamare l’at­tenzione su un paradigma, quello della “parità delle armi” [4], che proprio nella sua indiscutibile importanza teorica e nella conseguente (e talvolta impropria) frequente applicazione pratica verrebbe finanche a trovare un elemento di potenziale debolezza. Il “problema” è noto e, oltreché di tipo concettuale, presenta aspetti di particolare rilevanza operativa, tanto più laddove rapportato al momento dell’as­segnazione dei termini per lo svolgimento del procedimento arbitrale, di natura tanto rituale quanto irrituale [5]. Nel caso in esame, ad esempio, parte convenuta eccepiva infatti la lesione del proprio diritto al contraddittorio «per avere il Collegio assegnato un termine maggiore a parte istante per la definitiva formulazione dei quesiti, rispetto a quello assegnato a parte convenuta per il successivo adempimento, consentendo altresì a parte istante di depositare i documenti a suo tempo allegati nell’istanza per la nomina del Collegio entro il termine per la costituzione in giudizio». Lamentatio, questa, che veniva correttamente rigettata dagli arbitri, i quali argomentavano la propria decisione sia a fronte dell’accettazione, da parte di attore e convenuto (che, in sede di concessione, non avevano sollevato eccezione alcuna) della scansione temporale stabilita, sia per ragioni eminentemente organizzative e “di calendario” [6], rivelatesi di eguale importanza, tanto più poiché anch’esse condivise con le parti dopo breve consultazione informale delle stesse. Altrettanto corretto risulta essere, poi, l’inquadramento offerto dal Collegio in merito al profilo attinente alla produzione documentale in arbitrato. Come osservato dagli arbitri, non è dato riscontrare alcun onere per la parte istante nel procedimento arbitrale di riversare immediatamente i documenti a suo tempo [continua ..]


3. Il “profilo gestorio”: la non automatica compromettibilità in arbitri dell’azione di responsabilità (e della conseguente domanda di revoca) dell’amministratore di s.r.l. Il rapporto derogatorio tra l’art. 34, comma 4, del d.lgs. n. 5/2003 e l’art. 808-quater c.p.c.

Risolta nei termini che precedono la questione sorta in merito all’asserita lesione del principio del contraddittorio, il Collegio affronta il tema della potenziale compromettibilità in arbitri della domanda di revoca dell’amministra­tore della società e dell’azione di responsabilità nei suoi confronti [8]-[9]. L’argomento, anche in tal caso, viene esaminato dagli arbitri in modo esaustivo e condivisibile, e secondo un’argomentazione che trova fondamento tanto nella volontà espressa dalle parti in sede di formulazione della clausola com­promissoria, quanto nella previsione di cui all’art. 34, comma 4, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, la quale, come è noto, prevede che «gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro». In particolare, è proprio a fronte del tenore letterale della clausola arbitrale di cui allo Statuto sociale – intesa ad abbracciare nella propria sfera operativa tutte «le divergenze tra i soci o tra i soci e la società» – nonché del dettato della legge – la quale, come riferito, sottopone l’arbitrabilità delle controversie promosse da amministratori, liquidatori o sindaci (o nei loro confronti attivate) ad una previsione espressa [10] e alla semplice accettazione del­l’incarico [11] – che il Collegio sottolinea la non automatica inclusione dell’a­zione di responsabilità ex art. 2476 c.c. [12] nella portata della clausola medesima. Conseguentemente affermando la propria incompetenza in materia [13], anche a fronte della natura del tutto occasionale della coincidenza, nel caso di specie ricorrente, tra status di socio e incarico gestorio [14]. A ben vedere, la decisione del Collegio sul punto si pone in linea sia con quanto già espresso in sede giurisprudenziale e dottrinale [15], sia con una lettura “ponderata”, e a detta di chi scrive corretta, dell’art. 808-quater c.p.c. [16], la cui vis attrattiva verrebbe dunque depotenziata, quantomeno nella vicenda in esame, in virtù del carattere tipico del rapporto [continua ..]


4. Il profilo relativo al rapporto sociale: il tema dell’esclusione

Il secondo profilo di indagine affrontato dal lodo è quello che verte sul tema dell’esclusione del socio ai sensi dell’art. 10-bis dello Statuto [20]. Questo aspetto è analizzato con particolare attenzione dal Collegio il quale, chiamato ad interrogarsi sulla potenziale nullità della suddetta previsione di esclusione per mancato rispetto del requisito di specificità imposto dal­l’art. 2473-bis c.c., si interroga innanzitutto sulla compromettibilità in arbitri di una tale domanda, poi affermata senza riserve [21] in virtù dell’assodata «assenza di diritti indisponibili nella materia in questione» [22]. La soluzione adottata dagli arbitri, anche in tal caso, pare a chi scrive corretta, e ciò in quanto da un lato conforme ai principi generali in materia di arbitrato e alla giurisprudenza sul punto venuta a consolidarsi [23], nonché, dal­l’altro, capace di identificare con precisione l’oggetto della lite [24] senza dare seguito alle tesi (forse pretestuosamente) sostenute da parte convenuta [25], come anticipato intese ad argomentare l’inesperibilità della via arbitrale in virtù del fatto che le violazioni contestate alla socia escludendafossero in sostanza ricollegabili alla sua volontà di opporsi alla redazione del bilancio – con conseguente asserita indisponibilità dei diritti controversi ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 806 c.p.c. – se non finanche rientranti nei “perimetri” propri del diritto penale. Altrettanto condivisibile è, poi, la lettura offerta dal Collegio in merito alla possibile applicazione analogica alle s.r.l. dell’art. 2287, comma 3, c.c., che nel caso di società semplice con due soli soci rimette la decisione sull’esclusione al Tribunale «e pertanto agli arbitri, in caso di clausola compromissoria contenuta nello statuto». Estensione interpretativa del regime delle società di persone, questa, che non solo va affermata nella vicenda in esame [26], ma che così come sostenuto dalla dottrina più attenta andrebbe anzi ampliata a tutte quelle ipotesi in cui – indipendentemente dal numero di soci – ne esiste uno la cui partecipazione supera il quorum deliberativo e la cui volontà, pertanto, potrebbe [continua ..]


4.1. Segue: l’asserita nullità della clausola statutaria di esclusione per mancato rispetto del requisito di specificità di cui all’art. 2473-bis c.c.

Quanto, invece, al profilo relativo alla validità della clausola statutaria di esclusione [28], il Collegio affronta “di petto” le argomentazioni di parte convenuta, strutturate secondo una triplice linea difensiva volta a eccepire la nullità della previsione in oggetto (i) per violazione dell’art. 2473-bis c.c., che prescrive la specificità delle eventuali cause statutarie di esclusione; (ii) per mancata regolamentazione del procedimento di esclusione; e (iii) per violazione dell’art. 2479, comma 2, n. 5 c.c. – che affida alla competenza inderogabile dei soci le decisioni che comportano una «rilevante modificazione dei diritti dei soci» – nel caso di rimessione al Collegio arbitrale della decisione circa l’esclu­sione della socia convenuta. Così interrogati, gli arbitri danno innanzitutto risposta preliminare alle questioni relative all’aspetto procedimentale della fattispecie «esclusione del socio di s.r.l.» [v. supra punti sub (ii) e (iii)] dimostrando di condividere quella linea interpretativa che – sull’assunto dell’inapplicabilità analogica alle s.r.l. dell’art. 2533, comma 2, c.c. – nega la competenza a deliberare su una tale ma­teria in capo all’organo amministrativo; competenza che, di contro, andrebbe affidata ai soci, già incaricati di decidere su certe modificazione dei loro diritti ai sensi dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c., e per questo ancor più competenti a valutare materie d’impatto finanche maggiore per la vita della società, quale è quella dell’allontanamento del socio. La ricostruzione offerta dal Collegio pare a chi scrive apprezzabile, in quanto perfettamente conforme al “tipo” s.r.l. [29]. Tuttavia, non va nascosta una certa “insoddisfazione” rispetto al modo, fin troppo tranchant, con cui viene offerta soluzione ad una querelle – quella relativa all’organo competente a deliberare l’esclusione – di rilevanza centrale per la s.r.l. post-riforma e capace di attirare l’attenzione di operatori e studiosi, diretti ad affermare la centralità dei soci in materia o, di contro, a privilegiare il ruolo dell’organo amministrativo, «ora pro­spettando una soluzione analogica della norma [continua ..]


4.2. In particolare, il “filtro” della specificità di cui all’art. 2473-bis c.c.

Per quanto attiene al profilo d’indagine sub (i), relativo all’asserita nullità della clausola di esclusione per violazione del canone di specificità di cui al­l’art. 2473-bis c.c., alcune considerazioni paiono poi d’obbligo [32]. In prima battuta, è da sposare, anche in tal caso, l’impostazione adottata dal Collegio, che restringe il perimetro della propria valutazione ad una sola delle ipotesi di esclusione prevista dallo Statuto sociale, relativa all’eventualità che il socio violi le «regole base che regolano l’attività societaria, trascurando la do­vuta perizia e diligenza nella cura del patrimonio sociale e dell’esercizio del­l’impresa». Nello specifico, una tale delimitazione dell’esame poggia su un’analisi precisa delle ipotesi asseritamente ritenute giustificative dell’esclusione della socia convenuta dalla società Alfa s.r.l. [33] le quali, tutte estranee alla categoria delle “operazioni gestionali” o comunque di carattere meramente omissivo, non potrebbero infatti ricadere nella previsione di cui alle prime due opzioni statutarie di esclusione, di contro relative al caso in cui il socio agisca – qui il nesso con l’incarico amministrativo – in modo “irrazionale”, “avventato” o “ar­rischiato”. È a fronte di una tale considerazione preliminare che gli arbitri risultano quindi in grado di esperire un esame di “legittimità” della clausola. Esame che si dimostra pertinente e puntuale, oltreché particolarmente attento ad un caso di specie in cui sarebbe tutto sommato stato facile ampliare impropriamente l’oggetto dello scrutinio arbitrale (i) a causa della sovrapposizione in capo alla convenuta dello status di socio e dell’ufficio gestorio, e (ii) a fronte di un “tipo” societario che come noto è connotato da caratteristiche strutturali di derivazione personalistica [34] tali da rendere in astratto plausibile la previsione di cause di esclusione dalla società consistenti in condotte gestionali anomale [35]. Quanto, poi, al “filtro” della specificità delle cause di esclusione di cui alla disciplina legale [36], le considerazioni del Collegio paiono capaci di addivenire alla [continua ..]


5. Conclusioni

Il lodo annotato, al di là dei riflessi “di diritto” puntualmente evidenziati dagli arbitri, parrebbe tradurre una curiosa coincidenza tra argomenti – quello della giustizia arbitrale e quello della società a responsabilità limitata – ovvia­mente distinti per natura, funzione e disciplina, sebbene accomunati da un trait d’union consistente nella consacrazione di quell’autonomia privata che, più volte affermata dalla legge, deve pur sempre trovare gli opportuni bilanciamenti all’interno del sistema di riferimento. Proprio sotto questa angolazione, e oltre agli apprezzamenti indicati nel corso del testo, il decisum arbitrale pare a chi scrive condivisibile senza riserve, in quanto capace di puntualizzare, quantunque in modo sintetico, il giusto equi­librio tra istanze autonome e norme eteronome in relazione agli istituti coinvolti nella vicenda oggetto di lite, primo fra tutti quello dell’esclusione del socio di s.r.l., punto cardine della disciplina introdotta con la novella societaria del 2003. Nondimeno, le argomentazioni degli arbitri paiono svolgere ad un altro com­pito fondamentale: quello di riaffermare il “confine” oltre il quale si incorre in ipotesi di abuso degli strumenti offerti dal legislatore, siano questi di stampo “processuale” oppure “sostanziale”


NOTE
Fascicolo 1 - 2017