Prendendo le mosse dall’ordinanza della Corte di Cassazione, l’articolo analizza i tratti salienti del recesso nelle società personali, soffermandosi, in particolare, sulla sua efficacia, che preclude l’opponibilità delle successive vicende e modifiche societarie nei confronti del socio receduto, ivi compresa l’introduzione di una clausola compromissoria in sede di trasformazione in società di capitali.
Starting from the Supreme Court order, the article analyses the main features of resignation from partnership, focusing on its effects: subsequent partnership’s events and modifications are not enforceable against the ex-parter, including the introduction of an arbitration clause as a result of the transformation into a corporate enterprise.
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1. Premessa - 2. Il recesso del socio ex art. 2285 c.c. - 3. Segue: la forma del recesso - 4. Segue: l’efficacia del recesso - 5. L’ordinanza della Cassazione - NOTE
La decisione della Suprema Corte in commento offre il destro per alcune considerazioni sul recesso del socio da una società di persone – nello specifico un’accomandita semplice – soffermandosi, in particolare, sulle conseguenze derivanti dallo scioglimento del vincolo sociale.
Nelle società di persone, il vincolo sociale particolare può sciogliersi mortis causa (art. 2284 c.c.), a seguito del recesso del socio (art. 2285 c.c.) oppure, all’opposto, a motivo della sua esclusione dalla compagine sociale, sia essa facoltativa (artt. 2286-2287 c.c.) o di diritto (art. 2288 c.c.) [1]. A queste ipotesi si può aggiungere la possibilità del trasferimento della partecipazione inter vivos, che, nondimeno, deve essere ammessa dal contratto sociale o, in alternativa, essere approvata all’unanimità dei soci [2]. Per quanto concerne, segnatamente, la fattispecie disciplinata dall’art. 2285 c.c., si rileva, in primo luogo, che il recesso si configura come un atto negoziale unilaterale del socio [3], volto a tutelare il suo interesse a svincolarsi dall’esercizio dell’attività economica svolta in forma societaria. Come ebbe a puntualizzare Ghidini [4], si tratta di un diritto potestativo del socio, personale [5] – spettando solamente a questi il diritto di azionarlo, e non i) in via surrogatoria, anche ai suoi creditori particolari, oppure ii) previa autorizzazione degli altri soci – e indivisibile, non essendo esercitabile per una parte soltanto della partecipazione [6]. Le disposizioni codicistiche delineano due differenti ipotesi di recesso legale [7], rispettivamente racchiuse al comma 1 (con addentellati anche al comma 3) ed al comma 2: trattasi i) del recesso ad nutum, esercitabile nelle società costituite a tempo indeterminato (o per tutta la vita di uno dei soci) purché con preavviso almeno di tre mesi; nonché ii) del recesso per giusta causa, a fronte del quale non è imposto alcun avviso preventivo. A queste, il legislatore aggiunge – ancora al comma 2 – «i casi previsti nel contratto sociale», rimettendo così alla discrezionalità dei soci l’individuazione di altre ed ulteriori ipotesi legittimanti il recesso del socio [8]. Volendo ripercorre, brevemente, i connotati salienti delle due situazioni tipizzate dall’art. 2285 c.c., e prendendo le mosse dal recesso da società contratta a tempo indeterminato, si è osservato [9] che esso rappresenta una «applicazione di un principio generale, ricavabile da più norme parallele [continua ..]
La dichiarazione di recesso [34], come costantemente statuito dalla Corte di Cassazione [35] (e ribadito anche nella pronuncia in commento) è un atto unilaterale, recettizio, a forma libera, con il quale il socio deve manifestare la propria volontà di recedere in maniera incontrovertibile [36]. Non sarebbe sufficiente, pertanto, «l’offerta in prelazione della quota di partecipazione agli altri soci, con riserva di cedere, in caso di mancato esercizio della prelazione, la quota a terzi; infatti, tale dichiarazione non rappresenta l’uscita della società come avvenimento certo ma come ipotesi eventuale del tutto condizionata all’evento futuro ed incerto o della conclusione di un accordo con i soci sul corrispettivo della cessione, ovvero della stipulazione di un accordo diverso con terzi estranei alla compagine sociale» [37]. La comunicazione deve essere eseguita personalmente dal socio o da un suo procuratore speciale, non rientrando tra i normali poteri del procuratore ad litem [38], e potrebbe anche essere effettuata solo verbalmente, come ebbe a statuire la Cassazione [39] in caso di società contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di un socio. In caso di recesso per giusta causa, si è ritenuta ammissibile una dichiarazione di recesso contenuta nell’atto di citazione con cui si instaura la lite per la liquidazione della quota sociale [40], nonché una manifestazione di volontà solamente per facta concludentia [41], purché essa sia «realmente diretta al recesso, cioè allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio recedente e non al diverso evento dello scioglimento della società». Nondimeno, sul punto, si è osservato [42] che è da escludersi che «possa aversi una dichiarazione tacita, consistente nel prolungato assenteismo del socio; invero il recesso importa una dichiarazione recettizia, mentre l’assenteismo non integra una dichiarazione, né ha una direzione; inoltre l’assenteismo del socio non ha di regola un univoco significato, mentre la dichiarazione di recesso non deve dar luogo a equivoci; e deve esser motivata; di fronte al comportamento assenteistico del socio, gli altri soci potranno deliberarne l’esclusione e il socio escluso non potrà invece sostenere che [continua ..]
Addivenendo al profilo di maggior interesse in relazione alla decisione qui in commento, ovverosia l’efficacia del recesso, occorre rilevare, in primo luogo, che l’orientamento della Cassazione, nel tempo, parrebbe essersi parzialmente modificato, atteso che, in un lontano passato, la Corte di legittimità si è espressa per la superfluità dell’accettazione della comunicazione, anche in caso di società composta da due soli soci [48]. Diversamente, nel 2009 [49], si è statuito che, «in caso di società con prefissata data di scadenza, l’uscita di uno dei soci dalla compagine determina una modifica del contratto sociale che necessita del consenso degli altri soci, dunque dell’accettazione del recesso, al pari del negozio cui si riferisce, a forma libera, perciò desumibile anche implicitamente da facta concludentia, purché giudicati univoci». Le decisioni di merito parrebbero conformarsi, prevalentemente, all’insegnamento più datato della Corte [50], puntualizzando che il recesso per giusta causa si perfeziona dal momento in cui tutti i soci sono venuti a conoscenza della decisione di recedere del socio, non essendo, di contro, sufficiente che essa sia stata comunicata ad alcuni di essi o ai soli amministratori [51]. L’effettiva conoscenza, nondimeno, potrebbe trascolorare anche in mera conoscibilità, come ebbe a sancire la Corte d’Appello di Milano [52], sul riflesso che «il recesso del socio ha natura di atto unilaterale recettizio la cui efficacia non dipende dall’effettiva conoscenza di esso da parte degli altri soci», essendo «sufficiente a questi fini la compiuta giacenza della lettera raccomandata spedita dal socio recedente presso l’ufficio postale del luogo di destinazione». Statuizioni, queste, che paiono condivise in dottrina [53], ove si è ritenuta operante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., sostenendo che «una volta che la dichiarazione [di recesso per giusta causa, n.d.s.] sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, essa conseguirebbe i suoi effetti, salvo che il consocio provi di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia». Per converso, ancora recentemente, si è affermato che, «in [continua ..]
Il fulcro della decisione che qui si annota è costituito dall’individuazione del momento in cui il recesso diviene efficace: collocandosi nel solco del consolidato orientamento giurisprudenziale, che affonda le proprie radici nel dettato dell’art. 1334 c.c. sull’efficacia degli atti unilaterali [69], la Cassazione ha ribadito che esso produce i propri effetti allorquando viene effettuata la relativa comunicazione, individuando come destinatario la società [70]. A corollario dell’ormai saldo principio – in forza del quale il legame tra il socio e la società si recide alla ricezione della dichiarazione di recesso (o, al più tardi, decorso il periodo di preavviso [71]) – la Cassazione si è soffermata su alcuni elementi fattuali che non protraggono artificiosamente il vincolo partecipativo. Trattasi, in particolare, della mancata liquidazione della quota del socio receduto – situazione, questa, che parrebbe all’origine della controversia – la quale non costituisce condizione sospensiva dell’efficacia del recesso, ma determina unicamente la persistenza del diritto di credito vantato dall’ex socio nei confronti della società, alla stregua di un qualsivoglia soggetto terzo creditore. In secondo luogo, neppure il mantenimento del suo nominativo nel libro soci è idoneo, in qualche misura, a tenere in vita il rapporto sociale, dovendosi piuttosto imputare la perdurante iscrizione all’inerzia della società, che avrebbe «ignorato» gli effetti del recesso. Infine, si rivela del pari inconferente la percezione di dividendi nell’anno immediatamente successivo alla comunicazione della volontà di recedere dalla società, in quanto – nella specie – non è stata data prova che essi non si riferissero proprio all’ultimo esercizio in cui la recedente era ancora socia e neppure che fossero stati percepiti a seguito del recesso [72]. Ragion per cui, per la Corte, non vi sarebbero elementi sufficienti per ritenere sussistente una comune volontà dei soci di proseguire il rapporto sociale, revocando, di fatto, per consenso unanime, gli effetti del recesso. Così acclarato l’intervenuto scioglimento del rapporto sociale particolare, la Cassazione ha tratto le debite conseguenze in punto di inopponibilità, al socio receduto, delle successive [continua ..]