Gli autori prendono spunto dal lodo commentato per analizzare due temi centrali in tema di impugnazioni assembleari di società. In primo luogo, si soffermano sul problema dell’arbitrabilità delle impugnative di deliberazioni assembleari, specialmente qualora venga dedotta la nullità delle stesse. In secondo luogo, si concentrano sul problema dell’estensione del litisconsorzio nelle medesime impugnazioni, con particolare riferimento alla partecipazione dei soci non impugnanti.
The Authors analyze two key topics dealing with the right to challenge a company resolution. In the first part, they focus on the arbitrability of issues involving the challenge of company resolution, particularly when affecting invalidity. Further on Authors deepen the analysis confronting the theme of joinder of parties in the proceedings, thus illustrating peculiar aspects involving the legal position of shareholders who did not challenge the resolution and could nevertheless be affected by the consequences of a third party challenge.
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1. Il caso - 2. La tesi del Collegio arbitrale - 3. Il superamento del criterio della “tutela dell’interesse generale” come limite per la compromettibilità - 4. Arbitrabilità vs. nullità della delibera - 5. Sulla cosiddetta denuntiatio litis: spunti di carattere sistematico - 6. Soci non impugnanti e procedimento di impugnazione di delibere: fra incertezze operative e dubbi dogmatici - NOTE
La decisione del 17 gennaio 2015 affronta, rispettivamente con lodo non definitivo e con lodo parziale, due tematiche oggetto di discussione e di non pacifica ricostruzione giurisprudenziale e dottrinale, quali l’efficacia di clausole arbitrali inserite in Statuti societari in caso di impugnative sulla validità delle delibere di cui si chieda l’accertamento della nullità, e l’estensione soggettiva dell’efficacia della clausola arbitrale, sotto il profilo processuale della legittimazione attiva e passiva. In particolar modo, il Collegio, una volta respinta con separata ordinanza l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della delibera, si confronta con l’eccezione di inefficacia della clausola compromissoria di cui all’art. 19 Statuto sociale Società Alfa – e dunque di incompetenza del Collegio arbitrale – con riferimento alle domande dirette ad ottenere: la reintegra di Mevio nella carica di consigliere di amministrazione della società convenuta, il pagamento di una somma maggiorata di accessori di legge, l’accantonamento del TFM ed il versamento dei contributi previdenziali, nonché relativamente alla domanda subordinata avente ad oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale.
Il lodo ha il pregio di essere chiaro, lineare e di rendere in termini apparentemente semplici argomenti e conclusioni che tali non sono. Grazie alla lucidità del percorso argomentativo e decisionale, il lodo è un riferimento prezioso e utile per gli operatori, difensori e Arbitri, che si trovino a dover formulare o decidere su analoghe eccezioni da integrare con un preliminare excursus normativo ed un richiamo alle diverse interpretazioni che negli anni si sono affermate, in giurisprudenza ed in dottrina. La materia del contendere e del decisum è un terreno particolarmente fertile, in cui è agevole riconoscere il potere innovativo e di rottura delle decisioni arbitrali, a fronte di una giurisprudenza di merito e, soprattutto, di legittimità che fatica a distaccarsi da dicotomie e dogmi poco funzionali alla materia societaria, particolarmente agitata da esigenze sempre nuove e da influssi (se non anche aspettative e richieste) di carattere transnazionale, ai quali il nostro ordinamento non può restare indifferente. In particolare, l’approccio del Collegio all’eccezione di inefficacia della clausola ed incompetenza del Collegio arbitrale [2] per non compromettibilità della materia oggetto del contendere, crea il contesto e l’occasione per un approfondimento basato sull’estensione del concetto di disponibilità in senso favorevole all’ampliamento della sfera dell’arbitrabilità. La tesi sposata dal Collegio per respingere l’eccezione di incompetenza consta, essenzialmente, di un duplice profilo, soggettivo e oggettivo. Quanto al primo, gli Arbitri criticano la tesi della società convenuta, che in modo restrittivo limita l’efficacia della clausola arbitrale e l’ambito della competenza degli Arbitri alle sole controversie tra i soci o fra questi e la società. Quanto al secondo, il lodo critica gli argomenti utilizzati dalla Società Alfa per sostenere l’indisponibilità del diritto fatto valere, ovvero il ricorso all’orientamento, per il vero datato, che qualifica le delibere di revoca degli amministratori e di determinazione degli emolumenti come incidenti sul bilancio societario, e quindi sottese ad un interesse generale della società indisponibile dalle parti. In particolar modo, sostiene la Convenuta, la delibera sugli emolumenti degli amministratori per il [continua ..]
Chi scrive ritiene che il pregio maggiore del lodo in esame sia la chiarezza e la semplicità con cui viene esplicitato che il generico riferimento “alla tutela dell’interesse generale” non costituisce più il criterio attuale per determinare o meno la compromettibilità del diritto. Partendo dal primo dei profili sopra anticipati, quello soggettivo, il Collegio ritiene di poter e dover fare riferimento al testo dell’art. 19 dello Statuto della medesima società che prevedere che «Tutte le controversie derivanti dal presente Statuto, comprese quelle relative alla sua validità, interpretazione, esecuzione e risoluzione, che possano insorgere tra i soci o fra la società ed i soci, anche se promosse da amministratori, sindaci (se esistenti) o liquidatori ovvero nei loro confronti, saranno risolte da un collegio arbitrale». Non è in discussione la compromettibilità delle controversie promosse dai soci, ma anche per quanto riguarda il rapporto tra società e amministratori, il Collegio, con linearità e chiarezza, ha osservato la perfetta corrispondenza della clausola compromissoria con l’art. 34, n. 4 del d.lgs. n. 5/2003, di cui di fatto ripropone il contenuto, che prevede che «Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti». Con l’accettazione dell’incarico la clausola è vincolante per gli amministratori, e quindi anche per l’Attore, il Consigliere di amministrazione Mevio. D’altro canto, rovesciando la prospettiva, le domande svolte da Mevio rientrano nell’ambito dei diritti nascenti dal rapporto sociale (e quindi derivante dal contratto o dal rapporto cui la clausola statutaria fa riferimento) così da consentire l’estensione della competenza arbitrale. L’argomento dell’inefficacia della clausola rispetto alle domande svolte da Mevio viene analizzato e respinto facendo ricorso ad un puntuale inquadramento logico e normativo, e mostra le corde – logiche ancor prima che giuridiche – non solo alla luce dell’art. 808-quater c.p.c. e dell’art. 34, n. 4, d.lgs. n. 5/2003 ma anche perché, in caso contrario, si ammetterebbe, come acutamente osservato nella motivazione del lodo non definitivo, un’efficacia [continua ..]
Lo spunto di approfondimento di questa nota a commento della decisione inedita è tratto dal passaggio in motivazione in cui gli Arbitri danno conto dell’orientamento della giurisprudenza di merito che afferma che «non tutte le ipotesi di nullità (delle delibere) identifichino fattispecie in cui vengano in considerazione interessi indisponibili (Trib. Milano, 22 febbraio 2011, Trib. Napoli, 9 giugno 2010) e che la non arbitrabilità oggi pare circoscritta, per lo meno dalla Suprema Corte, al solo caso di impugnazione per nullità delle delibere di approvazione del bilancio laddove sia contestata la violazione dei principi di chiarezza, verità e correttezza della situazione patrimoniale della società nella redazione del bilancio, (Cass. Ordinanza n. 14337 del 2014)». Gli Arbitri, quindi, hanno coraggiosamente affrontato il tema della arbitrabilità di questioni afferenti la nullità della delibera, risolvendolo nel senso dell’arbitrabilità delle medesime, non in via teorica ed astratta, ma con riferimento all’oggetto ed al contenuto dell’impugnativa presentata dall’Attore, Ing. Mevio. All’interno degli orientamenti affermatisi al proposito [11] gli Arbitri aderiscono alla giurisprudenza di merito che sta uniformandosi all’assunto in base al quale «le controversie arbitrali afferenti la validità delle delibere assembleari sono deferibili in arbitrato» in quanto nonogni ipotesi di nullità sottende il coinvolgimento di interessi indisponibili [12], posto che la violazione va provata nel caso concreto, in considerazione degli interessi lesi e della violazione che si manifesta attraverso la delibera impugnata [13]. Ora, il Collegio nel lodo fa riferimento, citandole, proprio alle decisioni di merito del Trib. Milano, 22 febbraio 2011 e del Trib. Napoli, 9 giugno 2010, condividendo l’assunto secondo il quale la non arbitrabilità oggi pare circoscritta dalla Suprema Corte alle impugnazioni per nullità delle delibere di approvazione del bilancio per violazione dei principi di chiarezza, verità e correttezza della situazione patrimoniale della società nella redazione del bilancio [14]. Gli Arbitri, nel ritenere la propria competenza e quindi nel respingere le eccezioni di Alfa riguardanti il profilo oggettivo e la non compromettibilità per [continua ..]
Respinta l’eccezione preliminare di incompetenza, il Collegio arbitrale affronta e risolve (accogliendola) l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dai soci convenuti in arbitrato. Per quanto apparentemente semplice, tale questione offre interessanti spunti di riflessione di carattere sistematico sia in generale sulla partecipazione di terzi al processo sia in particolare sul ruolo dei soci nei procedimenti di impugnazione di deliberazioni assembleari. Nel caso di specie i soci personalmente convenuti nel procedimento arbitrale di impugnazione di deliberazioni sociali hanno sostenuto di essere privi della legittimazione passiva ad agire, indicando nella società l’unico legittimato passivo dell’impugnativa. A fronte di taleeccezione la parte impugnante ha replicato sostenendo che la notificazione della domanda di arbitrato era stata effettuata esclusivamente a fini di denuntiatio litis, senza alcuna domanda o richiesta nei loro confronti. Il Collegio arbitrale, sulla base del contenuto degli atti processuali, ha ritenuto che la notificazione della domanda di arbitrato nei confronti dei soci non potesse considerarsi avvenuta al solo fine di rendere edotti gli altri soci della pendenza dell’impugnazione e, conseguentemente, ha accolto l’eccezione. In assenza dell’atto introduttivo non è possibile esprimere una valutazione completa sull’effettivo contenuto della domanda, se, cioè, nel caso di specie potesse parlarsi di mera denuntiatio litis e non piuttosto di vera chiamata in arbitrato. Da quanto riportato nel lodo, tuttavia, sembra difficile pensare che la domanda potesse davvero configurarsi come mera denuncia di lite. A prescindere da questo, la questione affrontata dal Collegio arbitrale offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni di carattere generale proprio sulla cosiddetta denuncia di lite. Tale figura, generalmente riconosciuta in dottrina, difetta di una disciplina generale nel nostro ordinamento, trovando espresso riconoscimento in specifiche e limitate ipotesi; e da ciò discendono evidenti difficoltà definitorie [31]. Preliminarmente chiariamo che la denuncia di lite non coinvolge problemi di legittimazione ad agire. Anzi, si può parlare di denuncia di lite solo in presenza di un processo con pluralità di parti, relativamente a un terzo soggetto diverso e ulteriore rispetto [continua ..]
Veniamo ora al più specifico problema sottoposto all’attenzione del Collegio arbitrale nel lodo qui annotato. Come già accennato nel caso analizzato dal Tribunale arbitrale l’impugnazione di alcune decisioni sociali è stata proposta da un socio (nonché ex amministratore) sia nei confronti della società sia nei confronti dei soci non impugnanti; a fronte dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva, la parte impugnante ha sostenuto che la notificazione ai soci sarebbe avvenuta a titolo di mera denuncia di lite. Tralasciamo volutamente ogni considerazione sul contenuto concreto della domanda proposta, su cui il Collegio, nella piena disponibilità degli atti processuali, ha ampiamente argomentato nel lodo. Il punto è che la tesi della denuncia di lite non appare sostenibile neppure in astratto, specie con riferimento al caso dell’arbitrato societario. Come già sottolineato nel paragrafo precedente, posta la sostanziale sovrapponibilità fra chiamata in causa e intervento, l’unica possibilità di attribuire alla denuncia di lite un’autonoma rilevanza giuridica consiste nel configurarla come atto meramente informativo dell’esistenza della controversia. Oltre alle obiezioni illustrate al termine del precedente paragrafo, con specifico riferimento al caso dell’impugnazione di deliberazioni assembleari in presenza di clausola compromissoria, se ne aggiunge una ulteriore, se possibile ancor più decisiva. Nel caso dell’arbitrato societario, infatti, il legislatore ha predisposto una specifica (e del tutto peculiare) forma di pubblicità delle domande di arbitrato (tra cui appunto anche quelle aventi ad oggetto impugnazioni di delibere), proprio al fine di informare i soci dell’esistenza del procedimento e di consentire agli stessi l’eventuale intervento. Si tratta, più precisamente, del comma 1 dell’art. 35, d.lgs. n. 5/2003, il quale impone il deposito della domanda di arbitrato nel registro delle imprese [49]. La presenza di tale forma di pubblicità esclude qualsiasi utilità informativa della notificazione della domanda di arbitrato. Una diversa soluzione potrebbe essere ipotizzabile solo in assenza di clausola compromissoria, visto che analoga forma di pubblicità non è prevista dalladisciplina generale in tema di [continua ..]