Traendo spunto da un lodo arbitrale reso per dirimere una controversia relativa al collocamento di un contratto di IRS, il commento esamina le due diverse fattispecie dell'offerta fuori sede e dell’offerta a distanza di strumenti finanziari, cercando di individuarne i tratti distintivi e le differenti discipline applicabili.
Inspired by an arbitration to settle a dispute concerning the placement of an IRS contract, the comment examines the two different types of “door to door selling” and “distance marketing of financial instruments”, trying to identify the distinctive features and different applicable disciplines.
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- - - NOTE
1. – Il lodo in commento, del quale si pubblica esclusivamente la parte relativa all’individuazione della disciplina applicabile alle offerte a distanza [1], si inserisce nell’alveo dell’ormai copiosissimo contenzioso tra banche e clienti in materia di validità di strumenti finanziari derivati negoziati over the counter. Nel caso di specie, in esecuzione di un accordo quadro con la Banca Beta per la prestazione di servizi di investimento, ivi compreso quello di consulenza, la Alpha s.p.a. stipulava un contratto di interest rate swap a copertura del rischio di oscillazione dei tassi di interesse di un contratto di mutuo fondiario stipulato con altro intermediario [2]. Essendosi determinate nel corso del rapporto ingenti perdite a suo carico e ritenendo: a) di non essere stata messa in condizione di esercitare il diritto di recesso che avrebbe dovuto esserle riconosciuto ai sensi dell’art. 30 TUF, b) di non essere stata adeguatamente informata al momento della conclusione del contratto sulla sua reale idoneità a coprire il rischio finanziario sottostante e sulle modalità di calcolo del mark to market del derivato e c) di non aver ricevuto nel corso del rapporto le comunicazioni da parte dell’intermediario utili a determinare il fair value dello strumento finanziario [3], decideva di avvalersi della clausola arbitrale per la risoluzione delle controversie inserita nel contratto quadro. Promuoveva quindi procedimento arbitrale nei confronti della banca chiedendo, in via principale, l’accertamento della nullità del contratto di IRS e, in subordine, la condanna dell’intermediario al risarcimento del danno per avere negoziato un contratto inadeguato, in violazione degli obblighi di correttezza e trasparenza imposti dalla direttiva MiFID e dalle disposizioni legislative e regolamentari emanate in sua attuazione. Il Collegio ha accolto la domanda subordinata, riconoscendo la responsabilità contrattuale dell’intermediario [4] ed operando una rigorosa quantificazione del danno risarcibile [5], ma, preliminarmente, ha dovuto esaminare (respingendole tutte) tre diverse domande di nullità del contratto, relative rispettivamente: a) alla nullità per violazione dell’art. 30, comma 7, TUF sul presupposto che l’IRS, negoziato fuori [continua ..]
2. – Le ultime due domande rappresentano probabilmente il principale leitmotiv che negli ultimi anni ha caratterizzato il contenzioso tra intermediari e clienti in tema di contratti derivati, dando luogo ad una produzione giurisprudenziale – e dottrinale – di vastissime proporzioni [6]; proprio per tale ragione vorremmo limitarci nell’economia di questo commento a richiamare in nota le posizioni assunte sul punto dal Collegio [7], per concentrare invece l’attenzione sulla prima domanda, che tocca un profilo sicuramente meno esplorato dalla giurisprudenza non tanto per l’assenza in sé di contenzioso sul diritto di recesso disciplinato dall’art. 30 TUF [8], quanto perché la pronuncia si occupa di circoscrivere i confini di entro quali la disposizione del TUF può legittimamente spiegare i propri effetti e giunge ad escluderne l’applicabilità al caso di specie, riconducendo il rapporto tra banca e cliente non ad un’offerta fuori sede, ma ad un’offerta a distanza, disciplinata quindi non dall’art. 30 TUF, ma dall’art. 32 TUF.
– Ricostruire il quadro delle disposizioni applicabili alle offerte fuori sedee alle offerte a distanza di strumenti finanziari e di servizi di investimento è operazione non semplice; l’attuale disciplina [9] è infatti frammentata in una pluralità di testi normativi [10], non sempre coordinati tra loro, ciascuno dei quali è stato nel tempo oggetto di numerose e frequenti modifiche [11]. Per valutare la correttezza della soluzione proposta dal Collegio, che – lo ricordiamo – ha escluso la possibilità di applicare al contratto concluso tra banca e cliente la disciplina del diritto di recesso prevista dal TUF per il caso di collocamento fuori sede di strumenti finanziari, ritenendo invece di poter sussumere la fattispecie nella differente disciplina delle offerte a distanza, occorre dunque preliminarmente provare a ricostruire quali siano le norme applicabili nei due casi e quali le caratteristiche distintive delle due fattispecie. Nella versione originaria del Testo Unico della Finanza le offerte fuori sede e le offerte a distanza, fino a quel momento accomunate all’interno della definizione di “offerte fuori sede” (art. 1, comma 1, lett. f, legge n. 1/1991) e, prima ancora, di “vendite a domicilio” (così l’art. 18-ter, legge n. 216/1974, introdotto dall’art. 12, legge n. 77/1983), ricevono per la prima volta un’autonoma e separata definizione (rispettivamente negli artt. 30 e 32), ma, sul presupposto di un’identità di ratio, continuano ad avere un’identica disciplina. Da un lato, quindi, si precisa che l’offerta fuori sede si caratterizza per il fatto di svolgersi «in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento» e che l’offerta a distanza ha il suo tratto distintivo nel fatto di non comportare «la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto offerente»; dall’altro si prevede per entrambe, per quel che qui rileva, l’obbligo in capo all’intermediario di riconoscere uno jus poenitendi al cliente e di farne espressamente menzione nel contratto, pena la sua nullità, azionabile – come la maggior parte delle nullità di protezione – solo [continua ..]