Giurisprudenza Arbitrale - Rivista di dottrina e giurisprudenzaISSN 2499-8745
G. Giappichelli Editore

In tema di lodo arbitrale ed ordine pubblico (con specifico riferimento al compenso del mediatore atipico non iscritto (di Alberto Ronco)


L’Autore, nell’esaminare criticamente la pronuncia dei Giudici milanesi e nell’aderire alle conclusioni cui essa perviene, si sofferma sulla nozione di ordine pubblico nella disciplina dell’arbitrato (ma anche in altre zone del­l’ordinamento), sul suo spazio di applicazione e sulle conseguenze derivanti dalla sua violazione, con specifica attenzione al problema della validità del contratto concluso dal mediatore non iscritto.

Arbitration award and public policy (with specific reference to unregistered agent’s commission)

The Author, critically examining the Milanese judges’decision and agreeing with the conclusion they reached, focuses on the concept of public order in arbitration’s set of rules (but also in other parts of the legal system), on its field of application and on the consequences arising from its breach, with specific attention to the issue of validity of the contract concluded by an agent not registered.

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Appello Milano, 20 maggio 2015 (Canzio presidente; Raineri estensore) – Cardin Pietro e Gestioni Pierre Cardin s.r.l. (avv. Iwan Maini) – Multipartner s.p.a. (avv. Pennisi) Arbitrato – Arbitrato rituale – Nullità del lodo – Contrarietà a norme di ordine pubblico – Nozione (Art. 829 c.p.c.) La nullità del lodo per contrarietà all’ordine pubblico va individuata non in relazione alle norme applicate dagli arbitri al rapporto controverso, ma con riguardo al contenuto concreto del lodo stesso, quale si riflette nel suo dispositivo. (1) Arbitrato – Arbitrato rituale – Ordine pubblico – Nozione – Norma imperativa – Rilevanza (Art. 829 c.p.c.) Non qualsiasi norma imperativa è una norma di ordine pubblico (in particolare, non lo è la regola che condizione la validità del contratto di mediazione unilaterale o atipica alla circostanza che il mediatore sia iscritto in un apposito albo). (2)     [Omissis] MOTIVI DELLA DECISIONE 7. Come sopra evidenziato, gli impugnanti lamentano la nullità del lodo per contrarietà dello stesso all’ordine pubblico, avendo l’Arbitro dichiarato “dovuto un risarcimento traente lapropria fonte in un contratto nulloex art. 1418 1° co. c.c. per contrarietà a norma imperativa diretta a tutelare interessi generali della collettività”. Il motivo è infondato e insuscettibile di dar luogo alla declaratoria di nullità richiesta. 8. Va anzitutto premesso che – trattandosi di lodo regolato dalle norme successive alla Riforma – l’impugnativa non può riguardare pretesi errori di diritto compiuti dall’arbitro nell’ap­plicazione delle norme disciplinanti la fattispecie portata al suo esame. La verifica della correttezza (o meno) della qualificazione del rapporto inter partes da parte dell’Arbitro, sulla quale entrambe le parti dibattono [1]deve dunque ritenersi, in linea di principio, preclusa. Resta da esaminare se il pronunciamento dell’Arbitro, a prescindere dagli errores in iudicando in cui sia eventualmente incorso – e fra questi anche quelli afferenti alla qualificazione del rapporto controverso –, si configuri lesivo del principio di ordine pubblico. 9. Proprio in ragione della impossibilità di dedurreerrores in iudicandonelle impugnative successive alla Riforma, dovrebbe coerentemente desumersi che è solo il “contenuto concreto” del lodo che può determinare la contrarietà dello stesso all’ordine pubblico, e non già la violazione della normativa applicata dagli arbitri al rapporto controverso, ove questa non si sia trasfusa in un dispositivo ex se lesivo di tale principio [2]. Analogamente, così come gli arbitri che pronunciano un [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L’argomentazione ad abundantiam della Corte milanese - 3. L’ingresso della nozione di ordine pubblico nella disciplina del lodo domestico - 4. La nozione di ordine pubblico nell’arbitrato (e altrove) - 5. Segue. Gli interrogativi della dottrina ... - 6. Segue. ... e le risposte della giurisprudenza - 7. La giurisprudenza sull’ordine pubblico al di fuori dell’arbitrato - 8. Il contratto concluso con il mediatore (e l’agente) abusivo - 9. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Non sono molti i lodi e le sentenze che affrontano il tema del contrasto della decisione arbitrale con l’ordine pubblico e della sua conseguente nullità: anche per questa ragione, la recente pronuncia della Corte d’Appello di Milano presenta profili di interesse non affatto secondari. Per quanto rileva ai nostri fini, la vicenda giunta alla vaglio della giustizia privata e, poi, statuale può essere così schematizzata: – tra A e B viene concluso un contratto in forza del quale B si impegna a promuovere la vendita di prodotti di A; – A attiva contro B il procedimento arbitrale, lamentando il suo inadempimento nell’ese­cuzione del contratto e domandandone la condanna al risarcimento del danno; – l’arbitro accoglie la domanda; – B impugna il lodo ex art. 828 ss. c.p.c. adducendo che l’arbitro non avrebbe rilevato e dichiarato la nullità del contratto, qualificabile come mediazione, derivante dalla mancata iscrizione di A nell’albo dei mediatori, e sostenendo che tale mancato rilievo si sarebbe risolto, appunto, nella violazione di una norma di ordine pubblico, come è quella che esige, per la validità del contratto di mediazione, l’iscrizione di cui si è detto; – la Corte lombarda respinge l’impugnazione ritenendo che l’ordine pubblico non sia stato violato.


2. L’argomentazione ad abundantiam della Corte milanese

Due sono le rationes decidendi che sorreggono questa conclusione e che si connettono tra di loro in via di concorrenza alternativa: ciascuna di esse sarebbe da se sola idonea a sorreggere la pronuncia, ma vengono formulate entrambe, allo scopo di dare alla decisione una maggior tenuta argomentativa (magari in vista di un ipotetico ricorso per cassazione), anche a costo di misconoscere il canone – di economia processuale, ma anche di risparmio semantico – che sconsiglia di spendere parole superflue. La prima. L’offesa del lodo all’ordine pubblico si ha solamente se è il dispositivo della decisione arbitrale a contenere un comando che contrasta con l’insieme di precetti che tale ordine compongono (e, nel caso di specie, la condanna al pagamento di una somma è fenomeno che l’ordinamento non solo tollera, ma addirittura disciplina reiteratamente nell’ambi­to del processo). La seconda. Anche al di là di questo rilievo (sufficiente ed assorbente, per quanto si è appena scritto), qualora ci si sposti dal dispositivo alla motivazione, certo è che la norma se­condo cui è invalido il contratto concluso con il mediatore non iscritto non appartiene al­l’ordine pubblico.


3. L’ingresso della nozione di ordine pubblico nella disciplina del lodo domestico

Nell’ambito della disciplina del lodo arbitrale domestico, la nozione di ordine pubblico è stata impiegata per la prima volta con il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il cui art. 24, riscrivendo integralmente il Capo V del titolo del Codice di rito dedicato all’arbitrato, ha capovolto la regola che operava in precedenza per gli errores in iudicando commessi dall’arbitro nell’applicazione del diritto sostanziale: se, infatti, sino alla riforma del 2006, il lodo era naturaliter impugnabile per questa ragione (ma cessava di esserlo se le parti lo avessero convenzionalmente escluso), dopo la riforma la critica incentrata sull’applicazione da parte dell’arbitro del diritto sostanziale diventa possibile solamente se le parti l’hanno espressamente convenuta (o se è una specifica norma di legge ad imporla) [5]. Al di là ed indipendentemente da qualsiasi accordo, il lodo rimane comunque oggi impugnabile «per contrarietà all’ordine pubblico» (art. 829, comma 3, c.p.c.) oppure ove attenga ad una delle materie contemplate dall’art. 409 c.p.c. o, ancora, ove siano state violate norme che disciplinano una situazione soggettiva che gli arbitri abbiano sì conosciuto incidenter tantum, ma che non sarebbe di per sé suscettibile di convenzione arbitrale (art. 829, comma 4, c.p.c.). Se è vero che prima del 2006 il legislatore taceva circa la contrarietà del lodo italiano[6] all’ordine pubblico, ciò non significa che il problema di un simile contrasto fosse messo fuori campo dalla tendenziale impugnabilità della decisione arbitrale per contrasto con qualsiasi norma di legge: basti pensare all’ipotesi in cui le parti avessero escluso pattiziamente questa impugnazione e ci si chiedesse se il loro accordo fosse idoneo a consentire agli arbitri di vulnerare addirittura le norme che compongono, appunto, l’ordine pubblico [7].


4. La nozione di ordine pubblico nell’arbitrato (e altrove)

Ma che cos’è questo ordine pubblico? Ci troviamo, a mio giudizio, di fronte ad una di quelle clausole generali la cui rilassatezza (o ambiguità) linguistica si traduce in una difficoltà non tanto di definizione quanto di sussunzione: non è arduo, cioè, traslare l’espressione normativa in altre parole, più o meno esplicative del concetto (anche se, come stiamo per vedere, la pluralità delle tesi proposte in letteratura connota questa operazione quantomeno come poco controllabile razionalmente nei suoi esiti), quanto decidere di volta in volta se il singolo precetto preso in esame rientri o meno nei confini dell’ordine pubblico. Anche perché l’espressione è utilizzata nel nostro ordinamento in un’ampia pluralità di ambiti e non è detto che, in ciascuno, essa debba assumere lo stesso significato (significato che, del resto, il legislatore ben si guarda dal definire) [8].


5. Segue. Gli interrogativi della dottrina ...

La dottrina che si è misurata in anni recenti sulla formula contenuta nel nostro art. 829 c.p.c. ha evidenziato una serie di profili problematici ai quali ha tentato di dare risposte (non sempre univoche). E così, ci si è chiesti: – se la contrarietà all’ordine pubblico coincida con la violazione delle norme inderogabili [9] o rappresenti un insieme che si inscrive in quello rappresentato da queste ultime [10]; – se la violazione dell’ordine pubblico sia rilevabile dal giudice investito dell’impugna­zione di nullità del lodo anche d’ufficio (ossia anche nei casi in cui la parte abbia fatto valere un’altra ragione di invalidità della decisione arbitrale) o, addirittura, al di fuori di una specifica impugnazione del lodo (dando origine tale violazione ad una sorta di inesistenza giuridica o di nullità assoluta) [11]; – se la violazione dell’ordine pubblico vizi anche la decisione pronunciata dagli arbitri secondo equità [12]; – se l’ordine pubblico preso in considerazione dalla norma sia solamente quello che attiene al diritto sostanziale [13] o se vi rientrino anche alcune violazioni del corretto modus procedendi [14]; – se anche il lodo irrituale o libero o contrattuale sia viziato (e quindi caducabile) ove violi l’ordine pubblico [15]; – se la contrarietà all’ordine pubblico possa esser predicata solamente in relazione al contenuto finale della decisione (il c.d. dispositivo) o se, al contrario, possa dirsi viziato anche il lodo che, pur esprimendosi in un “comando finale” compatibile con l’ordine pubblico, vi giunga attraverso interpretazioni di norme o applicazione di principii che si pongano in contrasto con quell’ordine [16]. Si è tracciata una distinzione tra ordine pubblico interno od italiano (rilevante quando gli arbitri siano chiamati a fare applicazione delle norme del nostro diritto) ed ordine pubblico internazionale (che verrebbe in rilievo quando gli arbitri italiani si trovino ad applicare leggi di altri Stati) [17]. E si sono formulate varie definizioni di ordine pubblico, per lo più volte a declinare l’e­spressione nel senso di un complesso di regole che costituiscono i caposaldi indefettibili del­l’ordinamento giuridico [continua ..]


6. Segue. ... e le risposte della giurisprudenza

Se volgiamo lo sguardo alla più recente e (come si è detto all’inizio) non copiosa giurisprudenza disponibile che abbia fatto applicazione della formula nell’ambito dell’arbitrato, possiamo constatare alcune cose interessanti. A partire dalle definizioni, tra le quali troviamo la costruzione concettuale dell’ordine pubblico come l’insieme delle «norme fondamentali e cogenti ... dettate a tutela di interessi generali» [21] o di «quelle dettate in vista di interessi generali» [22] o come il «complesso dei principii e dei valori fondamentali dell’ordinamento del foro, a partire da quelli costituzionali, compresi quelli che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità internazionale in un determinato momento storico ... i principii inderogabili che sono immanenti ai più fondamentali istituti giuridici» [23]. La giurisprudenza appare poi consolidata circa la possibilità di ricondurre al concetto di ordine pubblico anche le regole di natura processuale, come quelle che attengono all’espri­mersi del contraddittorio [24] e del diritto di difesa (ma non quelle che interessano l’imparzia­lità dell’arbitro irrituale [25]), essendo così giunta, ad esempio, a dichiarare l’invalidità del lodo pronunciato immediatamente dopo l’assunzione delle prove e senza dare modo alle parti di commentare gli esiti dell’istruzione [26]. Così come appare costante la tesi secondo cui nemmeno la pronuncia secondo equità può arrivare a violare le norme di ordine pubblico [27]. Con riguardo al diritto sostanziale, sono state ad esempio specificamente qualificate come attinenti all’ordine pubblico (e quindi inviolabili da parte degli arbitri) le norme attinenti alla libertà della concorrenza [28], alla designazione degli arbitri in ambito societario ai sensi dell’art. 34, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 [29], ma non quella, contenuta all’art. 2744 c.c., che vieta il patto commissorio [30]. Notevole, infine, è la tesi fatta propria dalla Corte di Cassazione nel 2004 [31] (ed apparentemente non contraddetta da decisioni successive), secondo cui «il requisito della non contrarietà all’ordine pubblico va riscontrato con esclusivo riferimento alla parte [continua ..]


7. La giurisprudenza sull’ordine pubblico al di fuori dell’arbitrato

Per una maggiore informazione al lettore, non sarà inutile dare un’occhiata alla giurisprudenza recente che ha impiegato la nozione che stiamo esaminando in ambiti normativi differenti dall’arbitrato [32]. 1. Si è così ritenuto che facciano parte di quel nocciolo duro dell’ordinamento italiano rappresentato dall’ordine pubblico le regole che: – vietano di concludere contratti di lavoro subordinato con cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno [33]; – contemplano la responsabilità nell’ambito delle trattative precontrattuali, anche qualora le stesse intervengano con una pubblica amministrazione [34]; – impongono di risarcire ai congiunti di persone decedute in un sinistro stradale non soltanto i pregiudizi patrimoniali, ma anche il danno morale conseguente alla perdita del rapporto parentale [35]; – vietano il licenziamento del lavoratore subordinato in assenza di giusta causa o di giustificato motivo [36]; – permettono (salvo eccezioni introdotte dalla legge, purché rispondenti a peculiari e straordinarie esigenze di interesse generale) l’accesso all’impiego pubblico solamente attraverso un concorso [37]; – esigono che la sentenza civile presenti, anche in relazione alla quantificazione delle somme dovute (nella specie, a titolo risarcitorio), una congrua motivazione [38]. Al contrario sono stati ritenuti compatibili con l’ordine pubblico: – l’astreinte prevista nell’ordinamento belga e diretta ad attuare, attraverso il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento, una pressione per propiziare l’adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica [39]; – la previsione di diritto straniero che attribuisca ai lavoratori marittimi (nella specie, imbarcati su una nave nigeriana) una retribuzione inferiore ai minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva italiana (purché tale retribuzione risponda ai canoni di proporzionalità e sufficienza voluti dall’art. 36 Cost.) [40]; – il contratto di locazione ad uso abitativo avente ad oggetto un immobile costruito abusivamente o privo del certificato di abitabilità [41]; – la clausola testamentaria che attribuisca determinati beni ad un soggetto a [continua ..]


8. Il contratto concluso con il mediatore (e l’agente) abusivo

Il discorso non sarebbe completo se non si prendessero in esame anche alcuni profili inerenti alla validità del contratto concluso con il mediatore e l’agente non iscritto. a) Gli artt. 1, 2 e 6 della legge 3 febbraio 1989, n. 39 da un lato obbliga(va)no chiunque svolga l’attività di mediatore ad iscriversi nell’apposito ruolo istituito presso la camera dicommercio e, dall’altro, affermavano che solamente i soggetti iscritti hanno diritto alla prov­vigione. Il ruolo in questione è stato soppresso dall’art. 73 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, secondo cui il mediatore è tenuto a segnalare e documentare l’inizio della propria attività al­la camera di commercio, la quale provvede ad iscriverlo, a seconda dei casi, nel registro delle imprese o nel repertorio delle attività economiche ad amministrative. La giurisprudenza (qui sì copiosa) che ha preso in esame l’insieme e l’evoluzione di queste disposizioni ha affermato che: – le norme italiane che condizionano all’iscrizione il diritto del mediatore al corrispettivo sono compatibili con il diritto dell’Unione europea [45] e non confliggono con la direttiva 86/653/CEE del 18 dicembre 1986 la quale interessa solamente gli agenti ed i rappresentanti di commercio [46]; – anche successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo del 2010 solo i mediatori iscritti hanno il diritto alla provvigione [47]; – nell’ambito del giudizio che abbia ad oggetto il corrispettivo, l’onere dimostrativo circa l’iscrizione grava sul mediatore, il quale può peraltro (ed ovviamente) avvalersi anche della prova per presunzioni [48] e della non contestazione di cui al (novellato [49]) comma 1 dell’art. 115 c.p.c. [50]; – chi non ha diritto alla compenso a causa del difetto di iscrizione non può neppure esercitare «l’azione di indebito oggettivo, finalizzata ad ottenere la restituzione per equivalente della propria prestazione lavorativa» [51]; – la provvigione è dovuta anche se l’iscrizione interviene successivamente all’inizio della specifica attività di mediazione, purché anteriormente al suo concludersi [52]; – qualora l’attività di mediazione sia svolta da parte di una [continua ..]


9. Conclusioni

Nel concludere queste pagine ritengo che la decisione annotata meriti consenso. Non solo perché mi pare condivisibile l’assunto secondo cui la nozione di ordine pubblico va necessariamente ricostruita su confini più ristretti di quelli che racchiudono l’insieme delle norme imperative. Il rischio che il lodo incida su posizioni giuridiche o rapporti caratterizzati dalla pregnanza di norme di carattere pubblicistico è già arginato dalle norme che vietano l’arbitrato su controversie che hanno ad oggetto diritti indisponibili (art. 806, comma 1, c.p.c.) e che rendono impugnabile la decisione che su tali rapporti intervenga (art. 829, n. 1 ed eventualmente n. 4, seconda parte, c.p.c.): l’eccessiva latitudine del nostro concetto finisce allora per duplicare inutilmente il presidio posto a base delle medesime esigenze. Ma anche (e forse soprattutto) perché le regole che compongono l’ordine pubblico debbono presentare un’evidenza precettiva che si imponga come immediatamente caratterizzante un determinato ordinamento giuridico: e, nel nostro caso, questa immediatezza è smentita dal semplice rilievo che la correlazione tra iscrizione e diritto al compenso del mediatore u­nilaterale o atipico è così incerta, nell’ambito della stessa giurisprudenza di legittimità, da aver suggerito di provocare l’intervento nomofiliattico delle Sezioni Unite.


NOTE