Relazione tenuta al Convegno di Torino del 20 novembre 2012 sul tema “L’Arbitrato tra ‘locale’ e ‘globale’: circolazione di problemi, modelli e soluzioni”.
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1. L’arbitrato nel contesto globale dell’economia. La giurisprudenza sulla Convenzione di New York come veicolo per la circolazione di modelli e soluzioni - 2. Primo percorso: il problema della arbitrabilità delle liti - 3. Secondo percorso: la forma scritta della convenzione arbitrale alla luce delle esigenze delle moderne prassi di commercio “deformalizzate” - 4. Conclusioni. La via per una maggiore armonizzazione - NOTE
È davvero banale, come osserva Paolo Biavati in un commento di qualche anno fa [1], la constatazione che negli ultimi anni l’esplosione della globalizzazione dell’economia ha accresciuto il numero delle liti che hanno una dimensione transazionale. Alla base del fenomeno risiede, come è ben noto, l’impressionante accelerazione tecnologica dell’ultimo decennio, che ha di fatto permesso di ridurre o azzerare le distanze ed i tempi favorendo, nel contempo, lo sviluppo di forme nuove di negoziazione e conclusione degli accordi. Il diritto, che da sempre (e soprattutto sul terreno dei commerci) tende a recepire piuttosto che anticipare i fenomeni, ha sempre faticato a “tenere il passo” di questo rapido processo evolutivo, ed una delle maggiori difficoltà che incontra – di fronte ad un sistema di rapporti commerciali che prescinde dai confini fra i Paesi – è senza dubbio legata alla dimensione necessariamenteterritoriale che caratterizza l’ambito di efficacia di ciascun ordinamento nazionale, la quale si riflette inevitabilmente anche sul terreno del contenzioso, sollevando questioni in ordine sia all’individuazione del foro competente e della legge applicabile, sia all’efficacia dei provvedimenti giurisdizionali resi da organismi non appartenenti all’ordinamento [2]. Di qui la tendenza, sul primo versante, a favorire strumenti di risoluzione delle controversie “denazionalizzati”, come l’arbitrato [3]; e, sul secondo versante, ad elaborare su un piano sovranazionale, meccanismi di circolazione e riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali, compresi ovviamente i lodi arbitrali. Il percorso storico è noto, e non necessita di essere ripercorso nel dettaglio: risalgono ai primi decenni del XX secolo il protocollo e la Convenzione di Ginevra mercé le quali – auspice la Società delle Nazioni – si disciplinavano la clausola compromissoria e il riconoscimento ed esecuzione dei lodi. Si era tuttavia ancora in una fase di forte nazionalismo, il quale si rifrangeva con forza nelle citate regolamentazioni che, infatti, muovevano dal presupposto della necessaria ed imprescindibile riconducibilità di qualsiasi giudizio arbitrale ad un determinato sistema giuridico statale. L’arbitrato e il lodo erano, in altre parole, sempre “nazionali”, essendo imposto [continua ..]
L’art. V della Convenzione impone al giudice richiesto del riconoscimento del lodo di verificare se la lite sia arbitrabile secondo le disposizioni del proprio ordinamento. Si tratta di un potere officioso che non necessita di un’iniziativa di parte, a testimonianza del rilievo che assume, anche in chiave di coerenza con i principi generali dell’ordine pubblico, il tema della arbitrabilità delle liti. A differenza della questione che sarà esaminata nel punto successivo, qui siamo in presenza di una disposizione che determina l’applicazione della legge nazionale: dunque, l’analisi della giurisprudenza straniera può rappresentare un utile terreno di verifica della maggiore o minore rigidità del nostro ordinamento rispetto a quelli di altri Paesi. Andando più nel dettaglio, si deve subito osservare che la casistica pubblicata non è particolarmente ricca, ed anzi segnala la tendenza all’elaborazione di un concetto di arbitrabilità internazionale distinto e più elastico rispetto a quello di arbitrabilità accolto a livello domestico. Si ritiene, in altre parole, che materie normalmente non compromettibili (ad esempio in ambito antitrust o di mercati finanziari o di procedure fallimentari) in arbitrato domestico possano essere oggetto di arbitrato a livello internazionale [17], con ciò qualificando questo requisito come una specificazione del concetto di ordine pubblico, in relazione al quale, come è noto, è ormai consolidata la distinzione fra ordine pubblico interno e internazionale. Resta tuttavia il fatto che fra i vari ordinamenti resistono disomogeneità sulla questione della delimitazione dell’ambito di controversie compromettibili. Anche senza scendere nello specifico delle singole materie, è sufficiente considerare il criterio generale della disponibilità dei diritti, che il nostro legislatore ha conservato anche dopo la riforma del 2006. Altri ordinamenti, come quello spagnolo e germanico, hanno optato per una soluzione ancora più liberale, eliminando i previgenti limiti di compromettibilità oggettiva delle liti, o in via generale (come è accaduto proprio nell’ordinamento tedesco [18]) oppure nello specifico ambito societario (così in Spagna, anche se il punto è discusso [19]) avvicinandosi [continua ..]
Come è noto, la Convenzione prescrive che il patto arbitrale debba risultare da un “agreement in writing”, «signed by the parties or contained in an exchange of letters or telegrams» (art. II). La definizione è figlia, come si può facilmente immaginare, del tempo in cui è stata elaborata, tanto che ad ormai 55 anni di distanza non rispecchia più adeguatamente la realtà dei commerci. Basti solo pensare ai nuovi mezzi di comunicazione che hanno soppiantato lettere e telegrammi, vale a dire, fax, email ed altre forme di messaggistica elettronica. Ma c’è di più. L’opzione fra documento firmato dalle parti oppure scambiato fra le parti esclude in radice che si possa configurare un’accettazione tacita o per facta concludentia; parimenti sembra lasciare fuori dal campo di operatività della Convenzione anche tutte quelle pattuizioni arbitrali che siano contenute in documenti che non sono oggetto né di firma né di scambio, come ad esempio le polizze di carico, oppure i casi di intermediazione di un terzo nell’operazione commerciale, oppure quando la clausola è contenuta in un documento estraneo (ad esempio, condizioni generali) richiamato per relationem. La giurisprudenza ha seguito, nel tempo, percorsi argomentativi non sempre lineari. Nessuno mette in dubbio che il riferimento a “lettere e telegrammi” debba essere interpretato in modo evolutivo, quindi ritenendo che esso includa anche gli altri mezzi di comunicazione idonei a fornire prova dell’avvenuta trasmissione come il telefax [21] ed oggi anche l’e-mail o gli altri mezzi di comunicazione telematica [22]. Si tratta d’altronde di una soluzione generalmente accolta in tutte le legislazioni, compresa la nostra, e già presente nella Convenzione di Ginevra del 1961 e poi nel modello di legge arbitrale dell’UNCITRAL. Molto più delicata, invece, la questione dell’ammissibilità di altre forme di stipulazione della convenzione arbitrale. Principiando da una prospettiva generale, la giurisprudenza svizzera e tedesca avevano sposato la tesi che l’art. II costituisse una regola sostanziale uniforme prevalente su tutte le diverse disposizioni nazionali, con la conseguenza di ritenere che i singoli Stati non potessero dettare [continua ..]
Poche parole per concludere, e vorrei lanciare un messaggio. In uno scritto degli anni ’70, Giuseppe Ferri [43] accreditava l’arbitrato come unica tecnica di risoluzione delle controversie capace di rispondere alle esigenze del moderno sistema imprenditoriale ed economico nel suo complesso. E questa convinzione derivava non tanto dall’acclarata inadeguatezza della giustizia togata, considerata comunque farraginosa, costosa, scarsamente specializzata, quanto piuttosto dall’osservazione della naturale propensione degli arbitri privati al ricorso a schemi di ragionamento più flessibili, basati sui principi generali, sull’equità di giudizio, sul contemperamento del rigore della giustizia formale con l’esigenza pratica del commercio. Qualità che l’illustre Maestro riteneva si prestassero a governare una società civile dinamica ed in evoluzione, soppiantando l’apparato normativo e giudiziario tradizionale, che egli auspicava proiettato verso una profonda revisione strutturale. Forse poco di quanto Ferri aveva immaginato si è avverato. Resta però, in un periodo nel quale l’arbitrato era ancora in “libertà vigilata”, l’esatta intuizione di un fenomeno destinato ad affrancarsi dagli opprimenti limiti ai quali la codificazione autoritaria del 1940 lo aveva sottoposto. L’analisi comparatistica ha inoltre dimostrato che, negli altri Paesi, la via arbitrale è stata percorsa con maggior convinzione e l’Italia non può permettersi di restare indietro. Le resistenze al cambiamento sono e saranno – come è naturale – ancora intense, ma crediamo che il segnale, forte, lanciato dal legislatore non debba cadere inascoltato. Questo studio ha preso avvio dal rilievo che il problema della giustizia è antico. Vorremmo idealmente chiudere il cerchio con le parole di un altro autorevole giurista: «noi possiamo con animo tranquillo cedere alle nuove tendenze. Sgombrare le aule della giustizia, affidare le ragioni industriali, in cui cresce ogni giorno il tecnicismo, al giudizio di esperti, vincolandosi le parti a rispettarlo, eliminare le lentezze ed il dispendio del procedimento giudiziario, sono vantaggi cui non giova rinunciare proprio ai nostri giorni, facendo un salto indietro dal classico diritto di Roma». Sembrano scritte oggi, furono [continua ..]