Negli ultimi decenni la dottrina ha discusso l’inquadramento di teoria generale dell’arbitrato commerciale internazionale. Sono emersi tre orientamenti principali, che hanno identificato, in via alternativa, quali fonti di giuridicità dell’arbitrato: (i) l’ordinamento dello Stato sede dell’arbitrato (teoria territorialista); (ii) gli ordinamenti di tutti gli Stati coinvolti nelle varie fasi del procedimento arbitrale, e specialmente in quella esecutiva (teoria internazionalista) e, infine, un ordinamento giuridico autonomo (teoria autonomista). Il tema fondamentale è il rapporto tra legislazioni statali e arbitrato. Le implicazioni delle varie ricostruzioni alternative emergono chiaramente nella disciplina dell’annullamento dei lodi, e specialmente nella controversa questione del riconoscimento ed esecuzione di lodi esteri annullati dalle corti dello Stato sede. I principali trattati internazionali in materia, e specialmente la Convenzione di New York, continuano ad attribuire un ruolo primario alle corti giudiziarie dello Stato sede. In alcune giurisdizioni i giudici hanno talvolta reso esecutivi lodi esteri annullati nello Stato sede, ma solo raramente hanno mostrato di aderire alle teorizzazioni di un ordinamento arbitrale autonomo dagli ordinamenti giuridici statali. Il dibattito prosegue, ma si rileva che le legislazioni nazionali conservano, tuttora, un ruolo decisivo nella pratica dell’arbitrato commerciale internazionale, nonostante la crescente influenza di ricostruzioni teoriche alternative.
In the last few decades, scholars have debated the legal theories surrounding international commercial arbitration. Three main approaches have emerged, proposing as alternative sources of arbitration law: (i) the law of the seat of arbitration (a territorial approach), (ii) the laws of all States involved in the various phases of the arbitration, especially in the enforcement phase (an international approach) and finally, (iii) an autonomous legal order (an autonomist approach). The main underlying issue is the relationship between national laws and arbitration. The implications of the alternative approaches are demonstrated by the issue of award annulment, especially as it relates to the debate on recognition and enforcement of foreign awards annulled by the courts of the seat. The main international treaties such as the New York Convention still endorse the primary role of the seat of arbitration. In a few jurisdictions the courts have sometimes enforced awards annulled by the courts of the seat, but only a handful of courts have ever endorsed the theories that promote an arbitral legal order independent from the national legal orders. As the debate continues, it is safe to say that the role of national laws is still decidedly relevant to the practice of international commercial arbitration, notwithstanding the increasing influence of alternative approaches.
Articoli Correlati: arbitrato commerciale internazionale - sede dell arbitrato - annullamento del lodo - riconoscimento ed esecuzione del lodo - ordinamento giuridico
1. Introduzione - 2. La teoria territorialista/monistica - 3. Teoria internazionalista/pluralistica - 4. Teoria autonomista/ordinamentale - a) L’identificazione delle regole applicabili all’arbitrato internazionale - b) L’emergere di un ordinamento giuridico autonomo. - 5. Nozione e disciplina dell’annullamento - 6. L’annullamento nelle diverse ricostruzioni teoriche - a) L’annullamento come corollario della teoria territorialista - b) La compatibilità tra annullamento e teoria internazionalista - c) Il superamento del concetto di annullamento nella teoria autonomista - 7. La giurisprudenza più recente al vaglio della teoria generale - NOTE
L’arbitrato celebrato tra soggetti di diritto privato è stato tradizionalmente considerato come incorporato nel diritto di un determinato Stato. In quest’ottica, un lodo poteva produrre effetti in ordinamenti stranieri solo dopo essere stato in qualche modo confermato dalle corti giudiziarie dello Stato di provenienza. Coerentemente, le legislazioni nazionali prevedevano i casi di invalidità del lodo, accertabili all’esito di appositi giudizi d’impugnazione. Tuttora, con minime e limitate eccezioni, gli ordinamenti statali contemplano la possibilità di impugnare i lodi. Eppure, a partire dalla metà del XX secolo, l’arbitrato ha conosciuto radicali innovazioni. Dapprima, grazie alla Convenzione di New York del 1958, è radicalmente cambiata la regolamentazione giuridica della circolazione internazionale dei lodi. In parallelo, sono maturate ricostruzioni sistematiche profondamente innovative, caratterizzate da postulati e conclusioni molto diverse da quelle tradizionali. Sulla scia dei secolari dibattiti su natura e caratteristiche dell’arbitrato, sono emerse nuove questioni sui suoi rapporti con i diritti nazionali, con i corpora normativi a-nazionali e con il diritto internazionale. Scopo dell’articolo è quello di delineare le varie proposte di teoria generale dell’arbitrato, cercando di razionalizzare quanto più possibile le visioni alternative propugnate nel tempo. Parallelamente, si terrà presente il piano del diritto positivo e soprattutto del diritto vivente, e cioè l’arbitrato che si concretizza nella prassi degli operatori e nelle interpretazioni delle corti giudiziarie. In particolare si vuole vagliare come le varie proposte ricostruttive si rapportano con il potere dei giudici nazionali di sindacare la validità di un lodo arbitrale. Il tema dell’annullabilità dei lodi è solo una delle possibili prospettive di analisi, ma meglio di altre consente di cogliere i termini del rapporto tra arbitrato e giurisdizione statale. La riflessione degli ultimi decenni, nell’interrogarsi sul fondamento giuridico dell’arbitrato, ha elaborato diverse concezioni. Adottando il criterio di classificazione più diffuso si possono distinguere tre visioni alternative. Innanzitutto la teoria maggiormente ancorata al giuspositivismo, sia sul ruolo della legge che sull’assetto del [continua ..]
Come premesso, secondo questa ricostruzione ogni arbitrato, anche in ambito commerciale internazionale [1], si radica in un preciso ordinamento nazionale. Questo legame si concretizza nel concetto di sede dell’arbitrato, ancora oggi pressoché onnipresente sia nelle legislazioni nazionali, sia nelle convenzioni internazionali. È però utile delineare quali siano i fondamenti sistematici di questo rapporto particolarmente stretto tra arbitrato e ordinamento statale, che la legislazione positiva sembra presupporre, ma che, nei decenni più recenti, è stato talvolta ridimensionato, o addirittura messo in discussione. Questa concezione è tradizionalmente sostenuta ricorrendo a due argomenti: l’uno soggettivo, l’altro oggettivo. Il primo valorizza il coefficiente intenzionale, riconosciuto nella volontà delle parti che stipulano la convenzione d’arbitrato, come se volessero affidare la risoluzione della controversia sì a un arbitrato, ma senza fuoriuscire del tutto da un ambito di diritto nazionale [2]. La scelta della sede fa sì che l’arbitrato sia assistito dalla legge dello Stato scelto (lex arbitri), e che le corti giudiziarie del foro, in certi casi, possano essere chiamate a pronunciarsi su questioni quali l’arbitrabilità della controversia, la validità della clausola compromissoria e la formazione del collegio arbitrale. In particolare, è convinzione diffusa che le parti, per quanto ricorrendo ad arbitrato mostrino di non voler sottoporre l’intera loro controversia alla giurisdizione statale, desiderino che quest’ultima riacquisti un ruolo in limitati casi, in particolare a esito d’impugnazione [3]. In altre parole, questa proposta interpretativa afferma che l’arbitrato è parte dell’ordinamento nazionale perché le parti, nello stabilire la sede, desiderano che così sia. E questa supposta volontà delle parti è riscontrata, per via indiziaria, dalle notevoli implicazioni che l’incardinarsi dell’arbitrato in un determinato ordinamento nazionale comporta. A voler tacere delle perplessità suscitate dal presumere che le parti desiderino sempre e comunque la possibilità di uno scrutinio giudiziale sull’arbitrato, la tesi appare incespicare in una certa circolarità, dicendo che la sede dell’arbitrato ha un [continua ..]
Una ricostruzione alternativa ricerca il fondamento giuridico dell’arbitrato in una pluralità variabile di ordinamenti nazionali, in particolar modo quelli aditi per riconoscere e rendere esecutivo un lodo. È quindi una visione che sposta il focus dal momento genetico ed evolutivo (cioè l’accordo compromissorio e il procedimento) al momento finale, cioè il lodo e il suo exequatur. Dal momento che questa teoria attribuisce rilievo soprattutto al momento dell’esecuzione della decisione arbitrale, si potrebbe pensare che sino a tale momento l’arbitrato non solo non si radichi in alcun ordinamento, ma che non abbia nemmeno una connotazione stricto sensu giuridica [9]. Si è spesso parlato, e sovente in termini critici, di floating arbitration, sulla scia di un precedente giurisprudenziale che censurò l’idea secondo la quale un lodo possa considerarsi «floating in the transnational firmament, unconnected with any municipal system of law» [10]. Appare certamente semplicistico disegnare la teoria in questi termini, anche perché il focus della questione, più che l’effettività dell’eventuale suggello statale, è la sua potenzialità. Quindi, più che un floating arbitration che veleggia senza ancoraggi nella realtà giuridica statale, si dovrebbe delineare un arbitrato con plurimi e indeterminati ancoraggi nella pluralità degli ordinamenti nazionali. In termini simili, è riduttivo limitare l’intervento degli ordinamenti statali alla sola fase terminale. In molte altre occasioni gli organi di uno Stato possono essere chiamati a esprimersi su questioni inerenti a un arbitrato, a partire dalla validità/efficacia della clausola compromissoria. Al contempo, si è sottolineato il rischio di un’eccessiva enfasi sul momento esecutivo, che, se portata a estreme conseguenze, potrebbe “paralizzare” o quantomeno limitare l’attività degli arbitri, come se fossero tenuti a considerare tutte le questioni nella prospettiva di un novero indeterminato di fori dell’esecuzione. Infatti, poiché un lodo potrebbe potenzialmente essere riconosciuto e reso esecutivo in un gran numero di ordinamenti statali, alcuni dei quali potrebbero presentare una legislazione peculiare o particolarmente restrittiva, un [continua ..]
Una terza concezione ritiene che la giuridicità dell’arbitrato internazionale trovi fonte in un ordinamento autonomo, distinto da quelli statuali. Questa scuola di pensiero, andata diffondendosi negli ultimi decenni, richiama in misura apprezzabile le elaborazioni delle scuole di pensiero che, tra fine Ottocento e inizio Novecento, misero in dubbio le convinzioni del positivismo giuridico [16]. Il punto di partenza di questa riflessione è stata la volontà di sottrarre il lodo arbitrale dall’influenza dell’ordinamento della sede dell’arbitrato [17]. Il dibattito sull’esistenza di un ordinamento arbitrale autonomo è stato anticipato da quello sulla lex mercatoria. In particolare, in decenni non lontani, si è appassionatamente discusso se una controversia commerciale potesse essere decisa non applicando una determinata legge statale, ma la suddetta lex mercatoria. Si tratta di un corpus di regole proprie del commercio globale che, secondo i suoi fautori, travalica i diritti nazionali: può trarre la disciplina sostanziale di talune materie da uno o più dei suddetti, se riscontra una regolamentazione adeguata e confacente ai bisogni mercantili, ma ne prescinde per legittimazione. La concezione di questo ipotetico diritto del commercio internazionale ricerca conferme nell’esame della storia giuridica, in particolare del Medioevo europeo. In quell’epoca, caratterizzata da forme di potere politico frammentate e ancora lontane dall’archetipo di Stato come inteso oggi, e dalla persistenza del diritto romano come ius commune, i commerci iniziarono a essere sempre più regolati da un sistema normativo autarchico, sia nella fase di produzione delle norme che in quella della loro interpretazione e applicazione in caso di controversia. Organismi istituiti da arti, gilde e corporazioni furono chiamati ad aggiudicare, in veste di tribunali, un crescente numero di controversie, applicando quello che, in sintesi, poteva considerarsi come il diritto consuetudinario del commercio, o di particolari settori di esso. Questa realtà subì una relativa battuta d’arresto quando il consolidarsi degli Stati nazionali consentì loro di avocare a sé l’aggiudicazione delle controversie tra mercanti. Pietra miliare, anche dal punto di vista simbolico, la legislazione francese in materia commerciale, [continua ..]
Il criterio maggioritario è quindi il metodo per identificare le regole applicabili all’arbitrato commerciale internazionale. Ma, come anticipato, i sostenitori della tesi autonomista vanno oltre, perché ritengono che queste regole formino un vero e proprio sistema, e, financo, un ordinamento giuridico. Sempre seguendo questa teoria, occorre un duplice passaggio: da mero insieme di regole a sistema, e da sistema a ordinamento giuridico. Il primo salto logico richiede che le regole si relazionino tra loro secondo rapporti di sistema, quali quello genere/specie, regola/eccezione e via discorrendo. Il secondo passaggio, quello da mero sistema e ordinamento giuridico, presuppone che questo insieme di regole sia potenzialmente idoneo a disciplinare tutte le esigenze dei propri consociati, e sia provvisto di meccanismi per relazionarsi con gli altri ordinamenti giuridici. I sostenitori dell’autonomia dell’ordinamento arbitrale, ovviamente, ritengono che quest’ultimo presenti tutti i requisiti per qualificarsi come ordinamento giuridico vero e proprio. Si afferma che esso sia un sistema in quanto composto di regole in varia relazione tra loro. Principi generali si affiancano a principi settoriali, e dai principi si traggono norme più specifiche [41]. Similmente, si riscontrano sia regole di principio sia regole con ruolo di eccezione, come il principio pacta sunt servanda e quello secondo cui un rapporto contrattuale divenuto, per sopravvenienze improvvise e/o imprevedibili, eccessivamente oneroso può essere sciolto. Non tutti sono però d’accordo con la presunta sistematicità di questo corpus di regole, e i critici hanno sostenuto che, in realtà, persino applicando il metodo maggioritario caro ai fautori dell’autonomia dell’arbitrato, non si possano che ricavare norme e principi generali [42], o che il presunto interfacciarsi di regole ed eccezioni sia solo apparente e sia, piuttosto, indice di una confusione generale [43]. Compiendo un passo ulteriore si è cercato di conferire al sistema quella completezza e compiutezza necessarie a garantire una disciplina per tutte le questioni a esso sottoposte, soprattutto ricorrendo al metodo del diritto comparato. L’analisi comparatistica è stata utilizzata non solo per isolare quali norme nazionali compongono il sistema normativo qui considerato, ma anche per fornire una [continua ..]
Si può ora indagare se e come le concezioni rievocate influenzano la prassi degli operatori e delle autorità giudiziarie. Il profilo che meglio di tutti consente di ricapitolare i termini del dibattito è quello dell’annullamento di un lodo a opera dei giudici statali, con le relative conseguenze in termini di riconoscibilità ed esecutività all’estero. Si definisce annullamento del lodo quel provvedimento del giudice statale che ne dichiara l’invalidità e lo priva di efficacia. È altresì comune richiamarlo con il termine latino vacatur, o con le espressioni inglesi annulment o set aside. Trattandosi di un vero e proprio mezzo d’impugnazione, che ogni legislazione può disciplinare come meglio ritiene [56], la regolamentazione di dettaglio, negli aspetti sia sostanziali che processuali, dipende dall’ordinamento di volta in volta considerato, e non può essere descritta unitariamente. La scienza processualista e il metodo del diritto comparato consentono, però, di cogliere un’unitarietà di fondo [57]. La nozione include tutti quei rimedi attraverso cui le parti possono impugnare la decisione degli arbitri innanzi a un organo della giustizia statuale. La Convenzione di New York non si occupa di disciplinare le cause dell’annullamento del lodo. In assenza di limiti espressi, pertanto, gli Stati contraenti sono tradizionalmente ritenuti liberi di prevedere, al loro interno, qualsivoglia motivo di annullamento, senza che ciò possa influire sul regime di circolazione dei lodi stabilito dalla convenzione. In altre parole, una sentenza di annullamento andrebbe considerata di equivalente efficacia qualunque sia stato il motivo che ha sorretto la decisione del giudice statale. Alcuni autori hanno contestato questa lettura, ritenendola incompatibile con lo spirito e gli scopi della convenzione. Si è tentato di ricavare limiti impliciti, e il miglior punto di partenza è parso l’art. II, che impone agli Stati firmatari di dare efficacia agli accordi compromissori conclusi per iscritto. Non porre limiti alla discrezione delle corti statali sulle cause di annullamento potrebbe tradursi, de facto, in un aggiramento di questa previsione. Anche ammettendo che la convenzione ponga dei limiti impliciti, resta da capire come individuarli. Alcuni hanno richiamato l’elenco [continua ..]
A un primo livello d’analisi, la teoria generale può, alternativamente: (i) ammettere che una giurisdizione nazionale abbia l’ultima parola sulla validità di un lodo arbitrale, oppure (ii) respingere questa possibilità. Questa scelta sottende, a ben vedere, due ulteriori questioni. In primis, se sia legittimo che una corte giudiziaria statuale dichiari invalido un lodo emesso all’esito di un arbitrato internazionale. In secondo luogo, se siffatta decisione debba avere influenza sulle determinazioni degli altri ordinamenti statali, e, nel caso, sino a che punto, o a quali condizioni ciò debba avvenire. Il primo è un tema che afferisce alle relazioni tra arbitrato e legislatore statale. Il secondo coinvolge, anche, i rapporti tra ordinamenti di Stati sovrani. Solo rispondendo affermativamente a entrambi i quesiti si può parlare di annullamento nel senso proprio. Infatti ammettere un’impugnazione del lodo ma negare alla pronuncia un’efficacia internazionale parifica le cosiddette sentenze di annullamento a un mero diniego di exequatur nel proprio ambito giurisdizionale, che nulla dice sulle sorti del lodo in altri ordinamenti. Tenendo a mente entrambi gli aspetti, si può verificare come ciascuna concezione teorica si relazioni a questo profilo di grande impatto concreto.
La teoria territorialista, dal momento che radica ogni arbitrato in un dato ordinamento nazionale, deve necessariamente ammettere che quest’ultimo abbia la facoltà di annullare un lodo arbitrale. Come evidente, in questa ricostruzione teorica il ruolo della sede è riconosciuto e valorizzato al massimo grado, e la competenza a ricevere le impugnazioni delle parti avverso un lodo proferito in tale Stato è un corollario imprescindibile di questa visione. Posto che l’astratta potenzialità delle corti statali a decidere sulla validità di un lodo è necessariamente ammessa dalla teoria in esame, si può discutere sulle conseguenze nelle restanti giurisdizioni nazionali. Una visione territorialista pura, che equipara del tutto un lodo arbitrale alla sentenza di un giudice statale, deve negare che il suddetto lodo, se annullato, possa essere riconosciuto all’estero. In tali casi il lodo deve ritenersi del tutto rimosso dalla realtà giuridica. Come riassume il brocardo ex nihilo nihil fit, il lodo non potrebbe più ritenersi esistente nell’ordinamento di appartenenza, e quindi i sistemi giuridici stranieri non si troverebbero innanzi alcun provvedimento passibile di riconoscimento ed esecuzione. Per questi motivi, gli autori che hanno affrontato la questione hanno generalmente escluso che una visione territorialista possa ammettere l’esecuzione di un lodo estero annullato [65]. La maggior parte delle giurisdizioni nazionali si è, sinora, attenuta a questa linea, che è quella tradizionalmente adottata e riflessa nei diritti positivi e nelle convenzioni internazionali. Di recente, con l’emergere in vari ordinamenti di una giurisprudenza che, ammettendo l’esecuzione di lodi annullati, ha posto in dubbio molte convinzioni assestate sull’annullamento, sono cresciute di significato anche le chiare prese di posizione a sostegno dell’efficacia preclusiva del vacatur. Una corte giudiziaria del Brasile ha, in anni molto vicini, mostrato assoluta deferenza al vacatur di un lodo intervenuto in Argentina, negando per questa ragione l’exequatur del lodo e pure applicando quella medesima Convenzione di Panama che, in certi precedenti statunitensi, non ha impedito di giungere all’esito contrario [66]. In una diversa prospettiva, persino la visione territorialista potrebbe ammettere che, in situazioni [continua ..]
La teoria internazionalista radica il fondamento di un arbitrato internazionale in una pluralità variabile di ordinamenti nazionali, incentrando il focus sulla loro facoltà di riconoscere e dichiarare esecutivi i lodi arbitrali. Tale concezione può affrontare la tematica dell’annullamento del lodo internazionale con due esiti alternativi. In una prima prospettiva si riconosce che ogni ordinamento ha titolo per stabilire se un arbitrato internazionale possa spiegare efficacia nel proprio ambito di giurisdizione, e quindi concedere o negare l’exequatur di un lodo. Questo assunto, però, non considera la delicata questione sull’ammissibilità di una facoltà di annullare i lodi in senso proprio, cioè con efficacia generale ed estesa al di là dell’ordinamento le cui corti si pronunciano. Sotto questo profilo la teoria internazionalista si bipartisce. In una prima versione, che mutua parte dei corollari della teoria territorialista e trova notevole sostegno nel diritto positivo della grande maggioranza degli ordinamenti, si conferma il concetto di sede dell’arbitrato, titolare in esclusiva della facoltà di annullare il lodo con efficacia erga omnes. Infatti il diritto positivo di molti Stati, sia nella legislazione interna che in forza di convenzioni internazionali sottoscritte, prevede che l’annullamento del lodo proferito dalle corti della sede sia preclusivo all’exequatur. Così formulata la teoria internazionalista accetta l’esistenza di un ordinamento statale in posizione di privilegio rispetto agli altri [67]. In una seconda variante può, invece, recidere ogni legame con la teoria territorialista, e superare sia il concetto di sede dell’arbitrato sia, conseguentemente, quello di vacatur del lodo. In questa prospettiva ogni ordinamento è in identica posizione rispetto a un lodo di arbitrato internazionale, che sarà qualificato come oggetto estraneo da ogni sistema giuridico statale. Questa seconda lettura è forse più conforme alle premesse ideali di questa concezione, ma trova minori fondamenti nell’attuale panorama legislativo e convenzionale. Occorre inoltre considerare la disciplina delle relazioni giuridiche tra Stati. Si può anche ammettere che un solo ordinamento abbia titolo per dichiarare invalido un lodo, ma una teoria strettamente [continua ..]
La teoria autonomista nega, ipso facto, che un ordinamento statale possa annullare un lodo in senso proprio, precludendo la circolazione in altre giurisdizioni. Ammettere questa eventualità sarebbe incompatibile con l’assunto cardine di questa concezione, e cioè che l’arbitrato internazionale appartenga a un sistema giuridico suo proprio, autonomo da quelli statuali. Ci si può domandare se la teoria autonomista possa riconoscere, in capo a un qualche organo a-statuale, la capacità di annullare un lodo. In materia di arbitrato commerciale, a oggi, il diritto positivo non offre, a oggi, soluzioni di questo genere. In caso di arbitrati amministrati le istituzioni preposte hanno, di solito, una limitata facoltà di revisione, che però non può qualificarsi come vero e proprio scrutinio di validità, paragonabile a quello conseguente a un’impugnazione. Invece, nell’ambito dell’arbitrato d’investimenti la Convenzione di Washington accentra la facoltà di annullare i lodi in un organismo centralizzato, l’International Centre for Settlement of Investment Disputes (“ICSID”). L’autonomia del sistema così disegnato è confermata dal fatto che l’istituzione conserva l’esclusiva a decidere sull’eventuale annullamento o revisione del lodo [69]. In particolare, la giurisdizione in materia di annullamento di lodi emessi negli arbitrati amministrati dall’ICSID è accentrata presso questo stesso organismo, e la decisione è demandata a uno speciale panel di tre membri [70]. Infine, quanto stabilito dai lodi o dalle decisioni ICSID sulla loro validità è immediatamente esecutivo negli ordinamenti di tutti gli Stati membri [71]. In questo quadro è più semplice argomentare sull’esistenza di un ordinamento autonomo, che si avvale degli apparati giudiziari statali per i soli profili esecutivi, ma li priva ex ante di ogni giurisdizione sulla validità. Infatti gli apparati nazionali saranno chiamati a dare seguito a quanto statuito nel contesto accentrato e sovranazionale disegnato dalla Convenzione di Washington Pur in assenza di simili presupposti, la giurisprudenza francese, come già richiamato, ha talvolta mostrato di aderire alla teoria dell’arbitrato commerciale internazionale come istituto [continua ..]
A chiusura di un’analisi di teoria generale è utile rilevare come le elaborazioni sopra richiamate hanno influenzato l’evoluzione giurisprudenziale. Nel solo 2017, a ora si segnalano tre decisioni di grande interesse. Dapprima la pronuncia della Corte d’Appello del Lussemburgo sul caso Commisa [78], in cui, sovvertendo una decisione di prime cure, si è negato il riconoscimento a un lodo emesso in Messico, e successivamente annullato dai giudici locali. All’opposto, i tribunali statunitensi avevano già concesso l’exequatur al medesimo lodo, nonostante l’occorso annullamento, dapprima con una sentenza del 2013 [79], e con una successiva conferma in appello del 2016 [80]. La ragione di queste decisioni divergenti non è d’immediata identificazione, soprattutto se si considera che sia gli Stati Uniti e il Lussemburgo sono parte della Convenzione di New York. Apparentemente l’esito opposto potrebbe discendere dal piano fattuale, poiché i giudici del Lussemburgo non hanno ritenuto provati quei gravi vizi che, secondo la parte interessata, avevano reso l’intera vicenda amministrativo-giudiziaria svoltasi in Messico una palese ingiustizia ai danni della società americana Commisa. Questa discussione, a ben vedere, pare più l’esito di un diverso approccio giuridico, visto che la corte lussemburghese non ha applicato quel test di compatibilità tra la sentenza straniera e l’ordine pubblico del foro da anni ricorrente nella giurisprudenza statunitense e inglese. Significativamente, il giudice di Lussemburgo ha apertamente contestato l’interpretazione in senso permissivo dell’art. V della Convenzione di York, volta ad ammettere la possibilità di riconoscere i lodi annullati [81], e richiamata anche dai giudici americani nel precedente Chromalloy [82]. Il riferimento all’art. V, comma 1, lett. e) della Convenzione di New York, che prevede l’annullamento del lodo «by a competent authority of the country in which, or under the law of which, that award was made», ha consentito ai giudici di ribadire che ogni arbitrato è ancorato a un determinato ordinamento statale. Quella che apparirebbe un’inequivocabile adesione al tradizionale approccio è però stemperata ove si conclude che la Convenzione di New York, in ultima istanza, [continua ..]