La presente indagine ha ad oggetto la portata delle ripercussioni in tema di arbitrato rituale del revirement circa la sua natura, con particolare riferimento a questioni giuridiche risolte, ad occasioni mancate ed ai relativi spunti di riflessione. In forza anche della natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, propria degli arbitri rituali, sono difatti emesse dalla Suprema Corte numerose decisioni, tra le quali talune in ordine: all’interpretazione del patto compromissorio ed alla relativa portata (anche in ipotesi di collegamento negoziale); alla conseguente distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale; alla validità della convenzione di arbitrato – anche di quella stipulata tra professionista e consumatore –; all’applicabilità della clausola binaria; all’invalidità sopravvenuta della convenzione; all’impugnazione del lodo ed alle norme applicabili al relativo giudizio; oltre che in merito ai rapporti tra arbitri ed Autorità giudiziaria, con particolare riferimento all’eccezione di compromesso. Le argomentazioni a supporto del revirement, che si pongono altresì alla base di decisioni in ordine alla validità della convenzione di arbitrato estero, per converso, non fungono da grimaldello per la risoluzione di questioni in materia di ricusazione dell’arbitro, con particolare riferimento al profilo della non ricorribilità per cassazione, differentemente da quanto invece avvenuto in ordine alla questione della ricorribilità in cassazione contro il provvedimento che statuisce in materia di spese ed onorari degli arbitri.
The present paper discusses the impact of the judicial reversal concerning the juridical nature of arbitration, with specific reference to the issues resolved, the missed chances and the relevant insights. Taking into consideration the judicial nature of the ritual arbitration, different rulings on arbitration have been issued by the Supreme Court. In particular such rulings have addressed the interpretation of the arbitration clause (also in relation to the so called collegamento negoziale), the difference between arbitration (arbitrato rituale) and informal arbitration (arbitrato irrituale), the validity of the arbitration clause - specifically the arbitration clause entered into by professionals and consumers -, the applicability of the clausola binaria, the subsequent invalidity of the arbitration clause, the appeal against the arbitration award, the rules applicable to the arbitration proceedings, the conflict of competence between arbitrators and judges. The argumentation supporting the judicial reversal, which are also used in relation to the validity of the arbitration clause for an international arbitration, cannot be considered useful for the solution of the issue of the recusation of arbitrators (and of the possibility to appeal such recusation in front of the Supreme Court), differently from has happened with respect to the question concerning the possibility to appeal the Supreme Court against a ruling on expenses and fees of the arbitrators.
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1. Premesse: le ragioni del “revirement” giurisprudenziale - 2. I riflessi della riconosciuta natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale: ambito dell’indagine - 3. Convenzione d’arbitrato: operatività, interpretazione, portata e distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale - 3.1. La clausola compromissoria nei rapporti con il consumatore - 4. Rapporti tra arbitri e giudici ordinari: eccezione di compromesso e questioni di competenza e di giurisdizione - 5. Arbitrato estero e questioni di giurisdizione - 6. Rapporti tra lodo e giudicato sulla giurisdizione - 7. Procedimento e principio del contraddittorio
La presente indagine ha ad oggetto la portata delle ripercussioni in tema di arbitrato rituale del revirement circa la sua natura, con particolare riferimento a questioni giuridiche risolte, ad occasioni mancate ed ai relativi spunti di riflessione. È quindi opportuna, in premessa, una breve disamina delle argomentazioni poste da Cass., S.U., n. 24153 del 2013 a sostegno della natura giurisdizionale (e non negoziale) dell’arbitrato rituale, oltre che dei relativi riflessi in termini processuali sul giudizio arbitrale, per poi verificare come tale natura, nel corso di questi primi cinque anni dal radicale mutamento giurisprudenziale (rispetto al precedente difforme inaugurato da Cass., S.U., n. 527 del 2000), abbia rilevato ai fini della risoluzione di innumerevoli questioni di diritto inerenti l’arbitrato. La Suprema Corte, in particolare, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ritiene che l’attività degli arbitri rituali abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Sicché, lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione. Ne consegue, sempre per le Sezioni Unite in considerazione, che in presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione di compromesso deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo di cui all’art. 41 c.p.c. Precisandosi, peraltro, che il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta può essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo, a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza [Conforme ai principi affermati dalle dette Sezioni Unite sono anche le Sezioni Unite successive, si veda, in particolare, Cass., S.U., [continua ..]
La successiva giurisprudenza trae innumerevoli conseguenze, di rilievo procedimentale, dall’acclarata natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale e, quindi, del relativo lodo, oltre a quelle già evidenziate dalle citate Sezioni Unite del 2013. Argomentando anche dalla natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, propria degli arbitri rituali, sono difatti emesse dalla Suprema Corte numerose decisioni in ordine all’interpretazione del patto compromissorio ed alla relativa portata (anche in ipotesi di collegamento negoziale), alla conseguente distinzione tra arbitrato rituale ed irrituale, alla validità della convenzione di arbitrato – anche di quella stipulata tra professionista e consumatore –, all’applicabilità della clausola binaria, all’invalidità sopravvenuta della convenzione oltre che in merito ai rapporti tra arbitri ed Autorità giudiziaria, con particolare riferimento all’eccezione di compromesso. Altre pronunce muovono dalla detta natura giurisdizionale per trarre considerazioni in merito all’esecutività del lodo oltre che alla sua impugnazione ed alle norme applicabili al relativo giudizio di impugnazione, escludendo che essa possa influire ai fini dell’interpretazione della disciplina transitoria circa l’impugnabilità del lodo per errori di diritto. Ancora, le argomentazioni a supporto del revirement si pongono alla base di decisioni in ordine alla validità della convenzione di arbitrato estero; per converso, esse non fungono da grimaldello per la risoluzione di questioni in materia di ricusazione dell’arbitro, con particolare riferimento al profilo della non ricorribilità per cassazione, differentemente da quanto invece avvenuto in ordine alla questione della ricorribilità in cassazione contro il provvedimento che statuisce in materia di spese ed onorari degli arbitri.
L’arbitrato rituale e quello irrituale sono riconducibili all’autonomia negoziale ed alla legittimazione delle parti a derogare alla giurisdizione per ottenere una decisione privata della lite. La loro differenza va invece ravvisata nel fatto che le parti, nel primo, vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., seguendo le relative regole procedimentali, mentre nell’arbitrato irrituale intendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, che si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Così argomentando, Cass., Sez. I, n. 23629 del 2015, precisa che, proprio alla stregua di tali principi, deve essere interpretata la clausola compromissoria, dovendosi comunque tenere conto, quale criterio sussidiario di valutazione ex art. 1362 c.c., della condotta complessiva tenuta dalle parti nelle trattative, nella formazione dei quesiti, nello stesso corso del procedimento arbitrale e successivamente alla pronuncia del lodo. Qualora, all’esito del procedimento ermeneutico avente ad oggetto la portata del patto compromissorio, residuassero dubbi in ordine all’effettiva scelta dei contraenti, per Cass., Sez. I, n. 6969 del 2015, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell’art. 808-ter c.p.c. ad opera del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essi andrebbero risolti nel senso della ritualità dell’arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza in ragione della natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Cass., Sez. I, n. 4526 del 2016, sempre argomentando dalla natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale, conferma che la questione concernente la portata di una clausola compromissoria per arbitrato rituale, rispetto ad un’altra, intercorrente tra le stesse parti, per arbitrato irrituale, integra non questione di “competenza” bensì di merito, la cui risoluzione richiede l’interpretazione della clausola secondo gli ordinari canoni ermeneutici, [continua ..]
In tema di arbitrato tra banca e consumatore (nella specie inerente un contratto quadro), la validità della clausola compromissoria è subordinata alla sua specifica negoziazione ed approvazione per iscritto. Sicché, essa deve essere dichiarata nulla ex art. 33, comma 2, lett. t) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, quando inserita in condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti (il professionista), perché la deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria è da considerarsi vessatoria e contraria alla disciplina di protezione del consumatore. Cass., Sez. VI-I, n. 3744 del 2017, dopo aver statuito quanto precede, chiarisce altresì che tale deroga, in favore degli arbitri, è peraltro ammissibile ove venga provata l’esistenza di una specifica trattativa tra le parti, il cui onere probatorio ricade sul professionista che intenda avvalersi della clausola arbitrale in deroga e che rileva quale elemento logicamente antecedente alla dimostrazione della natura non vessatoria della clausola.
Le questioni inerenti la natura dell’eccezione di compromesso, se sostanziale o processuale (afferente alla competenza), e, quindi, quelle inerenti i modi ed i termini per sollevarla innanzi al giudice ordinario, compresa la possibilità per il decidente di rilevarla d’ufficio, sono parimenti investite dall’“overruling” del 2013, inerendo, la questione sottesa all’eccezione di compromesso, alla competenza e, quindi, essendo essa di natura processuale e non di merito. In particolare, antecedentemente al “revirement” attuato da Cass., S.U., n. 24153 del 2013, circa la natura dell’arbitrato, invece, la Suprema Corte, seguendo il diverso insegnamento di Cass., S.U., n. 527 del 2000, riteneva che la questione conseguente all’eccezione di compromesso sollevata dinanzi al giudice ordinario, adito nonostante che la controversia fosse stata deferita ad arbitri, attenesse al merito e non alla competenza, non ponendosi i rapporti tra giudici ed arbitri sul piano della ripartizione del potere giurisdizionale tra giudici, consistendo il valore della clausola compromissoria proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’azione giudiziaria. Ne conseguiva, dunque, per l’abbandonato indirizzo di legittimità, che, ancorché formulata nei termini di decisione di accoglimento o rigetto di un’eccezione d’incompetenza, la decisione con cui il giudice, in presenza di un’eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta, chiudeva o non chiudeva il processo davanti a sé andava riguardata come decisione pronunziata su questione preliminare di merito, impugnabile con l’appello e non ricorribile in cassazione con regolamento di competenza. Ciò neppure ove il giudice ordinario, in presenza di una causa connessa presso di lui pendente, introdotta con domanda riconvenzionale ed in violazione dell’art. 819 c.p.c., avesse negato l’inammissibilità della domanda principale, anziché riconoscerla, poiché deferita alla decisione degli arbitri (in tali ultimi termini, Cass., Sez. II, n. 2502 del 2003). Cass., Sez. VI-I, n. 22748 del 2015, per converso, ancora una volta argomentando dalla natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale e dalla funzione sostitutiva del giudice ordinario, propria degli arbitri rituali, ribadisce in particolare [continua ..]
In presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, avente ad oggetto tutte le controversie nascenti dal contratto ad esclusione dei procedimenti sommari o conservativi, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo rimane soggetto ad arbitrato, non potendo essere ricompreso nei procedimenti sommari in quanto caratterizzato da contraddittorio e cognizione pieni. Cass., S.U., n. 21550 del 2017, oltre al principio di cui innanzi, conferma il costante orientamento di legittimità per il quale la clausola di compromesso in arbitrato estero non osta all’emissione di un decreto ingiuntivo, perché il conseguente difetto di giurisdizione attiene alla cognizione di una “controversia”, presupponendo quindi il contraddittorio invece assente nel procedimento monitorio, oltre che in ragione della facoltatività e non rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di compromesso, come già chiarito da Cass., S.U., n. 19473 del 2016. La Suprema Corte conclude nei termini di cui innanzi dopo aver ritenuto ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, in ragione della natura giurisdizionale e non negoziale dell’arbitrato rituale, a seguito del revirement attuato da Cass., S.U., n. 24153 del 2013 (al quale si rifanno, tra le altre, le successive Cass., S.U., n. 1005 del 2014, e Cass., S.U., n. 10800 del 2015). Negli stessi termini Cass., S.U., n. 14649 del 2017, per la quale in presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l’eccezione di compromesso deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo di cui all’art. 41 c.p.c. Ciò attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, da attribuirsi all’arbitrato rituale in conseguenza delle disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5, e dal d.lgs. n. 40/2006. La Suprema Corte precisa altresì che il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta può essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo, a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza. Il [continua ..]
In tema di rapporti con il giudicato sulla giurisdizione, qualora il T.A.R., adito a seguito di dichiarazione di carenza di giurisdizione del collegio arbitrale, dichiari a sua volta il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario ed una delle parti ricorra nuovamente al collegio arbitrale, l’instaurazione del giudizio arbitrale, senza che la decisione sia stata impugnata dalle parti davanti al Consiglio di Stato, determina la formazione del giudicato interno sulla giurisdizione. Sovviene difatti il principio della translatio iudicii e la sua applicazione ai rapporti tra giudice ordinario e giudici speciali anche prima dell’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69. Cass., S.U., n. 28361 del 2017, in applicazione del principio di cui innanzi, conferma la sentenza della Corte d’appello che, chiamata a decidere su di un lodo arbitrale, aveva ritenuto formatosi il giudicato sulla giurisdizione per effetto della mancata impugnazione della sentenza del giudice amministrativo di primo grado, che aveva declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario e conseguente nuovo atto di accesso, ad impulso di parte, al collegio arbitrale.