Il contributo ha per oggetto l’esame dei profili relativi alla competenza degli Arbitri in ordine all’impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione alla luce del tenore della clausola statutaria in oggetto nonché della questione relativa alla legittimazione dell’amministratore astenuto ad impugnare la delibera stessa.
The purpose of the paper is to examine the profiles relating to the jurisdiction of the Arbitrators concerning the challenge of the resolution of the Board of Directors in light of the content of the statutory clause in question as well as the question concerning the legitimacy of the abstained director to challenge the resolution.
Keywords: Resolutions of the board of directors, abstained director’s legitimacy to challenge the resolution, competence to approve the company’s strategic plans.
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1. La competenza degli arbitri in relazione alle controversie insorte tra i membri degli organi sociali e la società alla luce della clausola statutaria - 2. La legittimazione dell’amministratore astenuto ad impugnare la delibera del consiglio di amministrazione mediante arbitrato - 3. La competenza del consiglio di amministrazione ad approvare i piani strategici, industriali e finanziari della società - NOTE
La prima questione affrontata nel lodo che si pubblica riguarda l’interpretazione della clausola arbitrale contenuta nello statuto della società, il cui tenore è il seguente: «tutte le controversie che dovessero insorgere fra i soci ovvero tra i soci e la società, gli amministratori, i liquidatori, i sindaci, saranno devolute al giudizio di un collegio arbitrale composto di tre membri nominati dal Presidente dell’ordine dei dottori commercialisti del luogo ove ha sede la società, entro il termine di 30 gg. Dalla domanda, proposta su istanza della parte più diligente [... omissis ...]. Il collegio arbitrale deciderà a maggioranza, ex bono et aequo, entro 30 giorni dalla nomina. La presente clausola compromissoria è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia; è altresì vincolante, a seguito dell’accettazione dell’incarico, per amministratori, liquidatori, sindaci, relativamente alle controversie dagli stessi promosse o in sorte nei loro confronti [... omissis ...].». Poiché la controversia aveva ad oggetto l’impugnazione della delibera del consiglio di amministrazione di una s.p,a. da parte di un amministratore astenuto e quindi era intercorsa tra un soggetto appartenente ad un organo sociale e la società, quest’ultima, in qualità di convenuta, ha eccepito l’incompetenza degli arbitri sulla base della considerazione che, alla luce del tenore della clausola sopra riportata, la competenza arbitrale comprenderebbe soltanto le controversie che intercorrono tra i soci o tra i soci e gli organi sociali e non anche quelle che insorgono tra gli organi sociali (o uno dei loro membri) e la società. Il Collegio sostiene, correttamente, l’infondatezza dell’eccezione sollevata dalla società convenuta affermando la competenza arbitrale, in virtù, sostanzialmente, di due argomentazioni. In primo luogo si invoca l’applicazione dell’art. 808-quater c.p.c., che, capovolgendo l’orientamento consolidato sotto il vigore della precedente disciplina [2], prevede la necessità di interpretare la clausola compromissoria in senso estensivo, con l’obiettivo di favorire, come si afferma nello stesso lodo, «la gestione unitaria della [continua ..]
Il secondo profilo esaminato nel lodo, ovvero quello relativo alla legittimazione dell’amministratore astenuto di s.p.a. ad impugnare la delibera del consiglio di amministrazione, non è stato particolarmente approfondito dalla dottrina [7] né ha trovato riscontri in giurisprudenza, ad eccezione, a quanto consta, di una pronuncia del Tribunale di Milano, risalente al 2010 [8]. La questione trae origine dal fatto che l’art. 2388, comma 4, c.c. attribuisce la legittimazione ad impugnare la delibera del consiglio di amministrazione agli amministratori assenti o dissenzienti, a differenza di quanto è previsto dall’art. 2377, comma 2, c.c., ove la legittimazione all’impugnazione della delibera assembleare è espressamente attribuita anche ai soci astenuti. Tale circostanza – secondo l’impostazione che emerge dal lodo e che ricalca pressoché integralmente le posizioni espresse nella sopra citata pronuncia – non costituirebbe il risultato di un difetto di coordinamento normativo, ma esprimerebbe «una precisa volontà del legislatore di differenziare le previsioni in materia di impugnazioni assembleari e consiliari, riflettendo le più generali differenze tra lo status di socio e quello di amministratore». In particolare, mentre i soci non sono tenuti ad intervenire in assemblea e quando vi partecipano realizzano un interesse proprio e individuale, gli amministratori sarebbero obbligati ad intervenire nel consiglio allo scopo di «consentire l’ordinato funzionamento dell’organo»; in tale prospettiva «l’eventuale assenza di singoli consiglieri, a differenza della astensione, dovrebbe propriamente essere intesa come evento eccezionale, tale da impedire, in maniera necessariamente giustificata, l’ordinario esercizio dei poteri – doveri connessi all’incarico ricoperto (e d’altro canto ben potrebbe reputarsi che proprio ad una tale premessa, in uno con il generale dovere di “agire informati” gravante sugli amministratori, possa essere ricondotto anche il potere-dovere di provvedere alla impugnazione di atti in tesi illegittimi alla cui deliberazione l’assente non abbia potuto partecipare)». Le conclusioni cui è giunto il Collegio arbitrale non appaiono condivisibili. In primo luogo mi pare difficilmente superabile la considerazione per cui, ai fini [continua ..]
Correttamente il Collegio arbitrale ha ritenuto di non esimersi dall’affrontare le ulteriori questioni di merito avanzate dalla parte attrice, la quale, in particolare, si doleva del fatto che l’approvazione dei piani strategici ed industriali fosse avvenuta mediante una delibera del consiglio di amministrazione e non dell’assemblea. Il Collegio ripercorre sinteticamente i passaggi in cui si articola l’impostazione che caratterizza l’attuale disciplina in ordine ai rapporti tra assemblea e amministratori, ovvero essenzialmente gli artt. 2364, n. 5 e 2380-bis, concludendo, correttamente, che «alla specifica competenza dell’assemblea in relazione a determinate materie puntualmente individuate dalla legge corrisponde in capo agli amministratori una generale (e residuale) competenza gestoria, che può esser eventualmente (e solo parzialmente) compressa dall’autonomia statutaria, laddove si preveda il rilascio di preventive autorizzazioni assembleari per il compimento di determinati atti». Alla luce di ciò gli Arbitri hanno osservato, in modo sicuramente condivisibile, che la delibera relativa all’approvazione dei piani strategici ed industriali rientra pienamente nell’ambito dei poteri gestori di esclusiva competenza degli amministratori, dal momento che essa, lungi dal provocare un’alterazione della struttura organizzativa e finanziaria della società e/o delle condizioni di rischio dell’impresa – come, invece, aveva sostenuto la parte attrice – «pare limitata ad illustrare e pianificare le strategie aziendali da attuare sul mercato per il triennio a venire» [12]. La competenza del consiglio di amministrazione a deliberare in ordine ai piani strategici, industriali e finanziari della società è stata oggetto di un’ulteriore contestazione da parte del soggetto impugnante, il quale ha negato tale competenza in virtù del dettato letterale dell’art. 2381, comma 3, c.c., che attribuisce al consiglio il potere di esaminare i piani e non anche quello di approvarli. Tale doglianza viene correttamente respinta dal Collegio. In particolare gli Arbitri osservano che, nel silenzio del legislatore in ordine al soggetto legittimato ad approvare i piani, due sarebbero «le possibili opzioni ermeneutiche, opposte ed alternative tra loro: l’una (interpretazione letterale [continua ..]